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Angela Merkel

Sei settimane per passare Cariddi

Mercati e economie hanno davanti una strettoia difficile, con le turbolenze del Golfo da un lato e la riforma delle tasse di Trump dall’altra.

20 Novembre 2017 10:12
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Come previsto sette giorni fa, qualche money manager ha cominciato a portare a casa un po’ di capital gain a Wall Street, anche per migliorare la performance del 2017 che sta per finire. Ma niente di drammatico. Lo S&P 500 alla chiusura di venerdì segnava lo 0,13% in meno dell’apertura di lunedì. In Europa la situazione è un po’ diversa, anche se in termini di indici non molto rispetto a quella americana. Sulle banche continua a pesare il ritardo rispetto alle rivali USA, le incertezze politiche – dalla Brexit bloccata, alla Merkel che naufraga clamorosamente nel tentativo di fare un’alleanza Giamaica con Verdi e Liberaldemocratici, alla Spagna non ancora uscita del tutto dalla crisi catalana, all’Italia che va alle elezioni più incerte da non si sa quando – non incoraggiano gli investitori, anche se l’economia va alla grande. Sull’Europa poi forse pesa ancora più che sull’America il fattore geopolitico. Tra le due aree è quella decisamente più vicina, praticamente confinante con la regione in ebollizione del Medio Oriente. Se tutta la benzina che in queste settimane si va spargendo su Golfo e dintorni dovesse prendere fuoco, gli europei sarebbero certamente i primi a scottarsi. In America invece i rischi sono nascosti nella politica interna. La mina su cui Trump e repubblicani devono stare attenti e non mettere il piede si chiama riforma fiscale.

A sei settimane esatte dalla fine dell’anno i mercati hanno davanti una specie di Scilla e Cariddi da cui bisogna passare per forza per entrare nel 2018. Su un lato dello Stretto c’è la riforma fiscale che Trump vorrebbe portare a casa per Natale, sull’altro il Golfo che dai prossimi giorni proporrà novità importanti, forse storiche, potenzialmente pericolose.

Cominciamo da qui. In settimana re Salman dovrebbe cedere il trono di Riyadh al figlio 32enne Mohammed bin Salman, protagonista delle retate che hanno portato agli arresti (al Ritz-Carlton di Riyadh!) una quarantina tra principi reali e ministri. Bin è fautore, oltre che della modernizzazione araba, anche della politica del muso duro con l’Iran. Dopo aver fatto l’accordo sul nucleare con Obama, Teheran sperava di poter aspirare al ruolo di potenza egemone nel Golfo con la copertura di americani e europei. Un ruolo giocato da sempre dai sauditi. Trump è tornato a puntare sul cavallo di sempre, e i sauditi hanno cominciato a cercare di tagliare i tentacoli iraniani nella regione, dallo Yemen, al Qatar, al Libano, dove l’Iran finanzia Hezbollah. Ma gli amici dell’Iran sono tanti e importanti. Siria di Assad e Turchia di Erdogan, per fare solo un paio di nomi, ma anche ad esempio l’Uzbekistan. E poi c’è la Russia di Putin, che vede nell’Iran un possibile sbocco strategico nel Golfo.

Nel gioco si è infilato Macron. Prima è volato a Riyadh e poi si è portato a Parigi il primo ministro libanese dimissionario Hariri, che si trovava in Arabia, non si capisce se di sua volontà, e che ora tornerà a Beirut. Allo stesso tempo il giovane presidente francese ha mandato un messaggio a Teheran: dovete essere meno aggressivi. Nel grande gioco mediorentale Trump ha bisogno di una sponda europea. Di solito gli americani potevano contare su Londra, ma oggi i britannici hanno altro a cui pensare e non si capisce neanche più bene chi comanda. Emmanuel d’Arabia è la carta finora tenuta coperta che The Donald?

Potrebbe averne bisogno, perché a Washington lo aspettano i giorni più difficili da quando è presidente. La riforma fiscale, che ha superato l’esame della Camera dei Rappresentanti, ‘deve’ passare anche al Senato. Se non succede sono guai, come spiega in un’intervista esclusiva a FinanciaLounge il professor Arrigo Sadun, economista e advisor internazionale. Guai per Trump, per i repubblicani, per i mercati, e per l’intera economia americana. Il nome da mandare a memoria è quello di Ron Johnson, un senatore repubblicano del Wisconsin a cui la riforma non piace e che col suo no potrebbe far mancare la risicatissima maggioranza che i repubblicani hanno al Senato come già fece John McCain con la riforma dell’Obamacare. Forse, come ci ha detto Sadun, non sarebbero guai paragonabili a quelli causati dalla crisi dei subprime e dal crac Leheman nel 2008. Ma sarebbero guai seri.

Bottom line. Stay tuned. Stare sintonizzati, sulle onde del Golfo e su quelle del Congresso. Se sauditi e alleati riescono a tagliare le unghie agli ayatollah senza far saltare per aria tutto il Medio Oriente e se Trump riesce a portare a casa la riforma fiscale, a questo punto non importa con quante concessioni ai capricci di qualche senatore, allora abbiamo davanti un’autostrada, con Wall Street che festeggia l’anno nuovo alla grande e l’economia americana che ingrana la sesta. Ci aspettano sei settimane che potrebbero cambiare il mondo.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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