Asia
Asia, l’alternativa all’Occidente
3 Dicembre 2012 08:00
ito pubblico dei Paesi occidentali è in forte ascesa dal 2008. A fine 2012, in base alle ultime previsioni della Commissione Europea, il rapporto debito /pil della Francia si attesterà al 90%, quello del Regno Unito all’88,7%, quello della Spagna all’86,1%, quello degli Stati Uniti al 109,6%, quello dell’Italia al 126,5% e quello del Giappone addirittura al 240,6%. In Asia, invece, la media di tale rapporto si posiziona al rassicurante livello del 43% con una “punta” del 53% per la Malesia e un “minimo” del 35% per la Corea del Sud passando per livelli compresi tra il 38% e il 50% di Taiwan, India e Cina.
Basterebbero questi numeri per far intuire perché oggi e, soprattutto, in prospettiva gli investitori saranno orientati sempre più verso le obbligazioni asiatiche sebbene non siano ancora del tutto consapevoli di questo mutamento del contesto fondamentale.
Tuttavia sarà la ricerca di rendimenti più alti il motore della futura domanda di obbligazioni del Far East: una alternativa concreta che consenta agli investitori europei di conseguire i propri obiettivi finanziari anche in un contesto di depressione finanziaria. A 15 anni dalla crisi asiatica del 1997, che partendo dalla Tailandia si propagò a Indonesia, Corea del Sud, Malesia, Singapore e Filippine, le riforme adottate dai Paesi del bacino del Pacifico hanno rivoluzionato lo scenario.
Ai paesi asiatici, includendo la Cina, fa oggi capo oltre il 60% delle riserve globali in valuta estera, circa il doppio rispetto a quando scoppiò la crisi, mentre nei paesi industrializzati, la quota è scesa al 30%. Inoltre, i paesi asiatici presentano un avanzo anziché un disavanzo delle partite correnti, e questo li rende meno vulnerabili alle crisi nonostante i rigidi tassi di cambio. In termini di rendimento, poi, il tasso medio che attualmente offrono i bond asiatici si attesta al 4,2% annuo in termini di valuta locale contro il 2,3% dei mercati sviluppati.
Ma c’è di più. Anche le obbligazioni societarie asiatiche garantiscono migliori rendimenti rispetto ai titoli equivalenti dei paesi industrializzati. Le obbligazioni asiatiche in genere possono beneficiare della solidità strutturale delle economie locali, delle forte competitività, della solida bilancia commerciale e dell’avanzo di partite correnti, e del potenziale apprezzamento delle valute rispetto all’euro e al dollaro USA.
Basterebbero questi numeri per far intuire perché oggi e, soprattutto, in prospettiva gli investitori saranno orientati sempre più verso le obbligazioni asiatiche sebbene non siano ancora del tutto consapevoli di questo mutamento del contesto fondamentale.
Tuttavia sarà la ricerca di rendimenti più alti il motore della futura domanda di obbligazioni del Far East: una alternativa concreta che consenta agli investitori europei di conseguire i propri obiettivi finanziari anche in un contesto di depressione finanziaria. A 15 anni dalla crisi asiatica del 1997, che partendo dalla Tailandia si propagò a Indonesia, Corea del Sud, Malesia, Singapore e Filippine, le riforme adottate dai Paesi del bacino del Pacifico hanno rivoluzionato lo scenario.
Ai paesi asiatici, includendo la Cina, fa oggi capo oltre il 60% delle riserve globali in valuta estera, circa il doppio rispetto a quando scoppiò la crisi, mentre nei paesi industrializzati, la quota è scesa al 30%. Inoltre, i paesi asiatici presentano un avanzo anziché un disavanzo delle partite correnti, e questo li rende meno vulnerabili alle crisi nonostante i rigidi tassi di cambio. In termini di rendimento, poi, il tasso medio che attualmente offrono i bond asiatici si attesta al 4,2% annuo in termini di valuta locale contro il 2,3% dei mercati sviluppati.
Ma c’è di più. Anche le obbligazioni societarie asiatiche garantiscono migliori rendimenti rispetto ai titoli equivalenti dei paesi industrializzati. Le obbligazioni asiatiche in genere possono beneficiare della solidità strutturale delle economie locali, delle forte competitività, della solida bilancia commerciale e dell’avanzo di partite correnti, e del potenziale apprezzamento delle valute rispetto all’euro e al dollaro USA.
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