elezioni
La volatilità dei titoli di Stato
18 Marzo 2013 08:00
rillazioni dei mercati seguite all’esito delle elezioni politiche in Italia hanno subito fatto scattare commenti e riflessioni da parte degli analisti e della case d’investimento se e su quali titoli di Stato italiani convenga ora puntare.
Meglio i Bot e i Ctz che scadono entro i prossimi 24 mesi oppure i Cct che incorporano il rendimento a tasso variabile? Meglio i Btp a breve, entro i tre cinque anni di scadenza, quelli a medio termine (7 -10 anni) o quelli lunghi (15 – 20 anni)?
Sono solo alcune delle domande che ci si è posti. Tuttavia, dal punto di vista del risparmiatore è altrettanto importante, e forse molto più pratico, ragionare in termini di potenzialità di guadagni e di perdite. In questo ragionamento, offre un valido aiuto la volatilità del titolo di stato, un paramento che le agenzie specializzate calcolano e che i principali quotidiani e siti finanziari online pubblicano accanto al prezzo, alla cedola e al rendimento del titolo.
Facciamo un paio di esempio.
Il Btp 15.4.2015 venerdi 8 marzo quotava 101,86 euro, rendeva il 2,10% annuo lordo e mostrava una volatilità dell’1,99%. Se, per esempio, il suo rendimento salisse di mezzo punto percentuale (portandosi quindi al 2,60%), il suo prezzo (che deve scendere per garantire un rendimento maggiore) perderebbe l’1% circa, ovvero il risultato della volatilità (1,99%) per la variazione del tasso (0,50%) diviso per l’1%: se, al contrario, invece, il suo tasso di interesse scendesse di mezzo punto, portandosi all’1,60%, la quotazione salirebbe dell’1% circa.
Prendiamo ora in esame il Btp 1.5.2023 che venerdi 8 marzo quotava 99,90 euro, rendeva il 4,56% con una volatilità dell’8,16%. Se il suo tasso salisse di un punto percentuale, portandosi pertanto al 5,56% annuo lordo, la sua quotazione fletterebbe dell’8,16% (cioè la volatilità moltiplicata per la variazione del tasso di interesse e il risultato diviso per 1%) e viceversa nel caso in cui il tasso d’interesse del Btp 1.5.2023 scendesse al 3,56%, cioè di un punto percentuale.
La volatilità, quindi, consente al risparmiatore di misurare praticamente quanto potrà guadagnare (in caso di ribasso dei tassi di interesse) o di perdere (nello scenario opposto con i tassi in aumento) con il titolo di stato da lui scelto.
Meglio i Bot e i Ctz che scadono entro i prossimi 24 mesi oppure i Cct che incorporano il rendimento a tasso variabile? Meglio i Btp a breve, entro i tre cinque anni di scadenza, quelli a medio termine (7 -10 anni) o quelli lunghi (15 – 20 anni)?
Sono solo alcune delle domande che ci si è posti. Tuttavia, dal punto di vista del risparmiatore è altrettanto importante, e forse molto più pratico, ragionare in termini di potenzialità di guadagni e di perdite. In questo ragionamento, offre un valido aiuto la volatilità del titolo di stato, un paramento che le agenzie specializzate calcolano e che i principali quotidiani e siti finanziari online pubblicano accanto al prezzo, alla cedola e al rendimento del titolo.
Facciamo un paio di esempio.
Il Btp 15.4.2015 venerdi 8 marzo quotava 101,86 euro, rendeva il 2,10% annuo lordo e mostrava una volatilità dell’1,99%. Se, per esempio, il suo rendimento salisse di mezzo punto percentuale (portandosi quindi al 2,60%), il suo prezzo (che deve scendere per garantire un rendimento maggiore) perderebbe l’1% circa, ovvero il risultato della volatilità (1,99%) per la variazione del tasso (0,50%) diviso per l’1%: se, al contrario, invece, il suo tasso di interesse scendesse di mezzo punto, portandosi all’1,60%, la quotazione salirebbe dell’1% circa.
Prendiamo ora in esame il Btp 1.5.2023 che venerdi 8 marzo quotava 99,90 euro, rendeva il 4,56% con una volatilità dell’8,16%. Se il suo tasso salisse di un punto percentuale, portandosi pertanto al 5,56% annuo lordo, la sua quotazione fletterebbe dell’8,16% (cioè la volatilità moltiplicata per la variazione del tasso di interesse e il risultato diviso per 1%) e viceversa nel caso in cui il tasso d’interesse del Btp 1.5.2023 scendesse al 3,56%, cioè di un punto percentuale.
La volatilità, quindi, consente al risparmiatore di misurare praticamente quanto potrà guadagnare (in caso di ribasso dei tassi di interesse) o di perdere (nello scenario opposto con i tassi in aumento) con il titolo di stato da lui scelto.
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