Ben Bernanke

I motivi della correzione dei mercati

1 Luglio 2013 12:00

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ime settimane ci hanno ricordato l’influenza esercitata dalla banca centrale americana sui mercati finanziari. L’intenzione annunciata dalla Federal Reserve (Fed) di iniziare a rallentare il ritmo degli acquisti di obbligazioni in un futuro non troppo lontano ha spinto al ribasso i prezzi delle azioni e delle obbligazioni. Tuttavia, quella che in maggio era iniziata come sana correzione si è trasformata a metà giugno in un ampio movimento ribassista che, alimentato dai timori di una stretta creditizia in Cina, ha investito tutte le classi di attività. Al "sentiment" negativo hanno contribuito anche le rivolte in Brasile e in Turchia. In questo contesto abbiamo riveduto il nostro posizionamento generale e aumentato la quota delle liquidità.

Le recenti dichiarazioni della Fed evidenziano un’economia statunitense robusta, con una “ragionevole” crescita dell’occupazione, una favorevole evoluzione del mercato immobiliare e la capacità di fronteggiare l’impatto negativo dei tagli automatici della spesa e dell’aumento delle imposte sul monte salari. Dopo aver preannunciato in maggio che il programma non convenzionale di liquidità (quantitative easing, QE) sarebbe giunto prima o poi a termine, il presidente della Fed Ben Bernanke ha lanciato di recente un messaggio inequivocabile: alla riunione della Fed del 19 giugno ha tracciato una chiara roadmap riguardo al rallentamento del QE3 e alla sua probabile fine a metà 2014, nel caso in cui l’economia si sviluppi secondo le previsioni (ottimistiche) della banca centrale statunitense.

Riteniamo che il presidente della Fed e i suoi colleghi abbiamo sottovalutato la velocità e la portata del conseguente rialzo dei rendimenti sui Treasury (vedi grafico 1 nella gallery). Se sostenuto, questo movimento rialzista dei tassi potrebbe soffocare la ripresa dei settori sensibili all’andamento dei tassi di interesse, come l’industria automobilistica e il ramo immobiliare.


La morsa cinese sull’espansione creditizia
Anche la Cina è confrontata con la prospettiva di un’offerta di liquidità meno generosa. La volontà dei decisori politici cinesi di contenere l’eccessiva espansione del credito si riflette in un netto aumento dei tassi di interesse interbancari mensili (da circa il 3% al 12%, vedi grafico 2 nella gallery). Sebbene la People's Bank of China (PBOC) abbia fornito liquidità per fronteggiare i problemi a breve termine derivanti dalla ridotta disponibilità di crediti, il segnale inviato alle banche impegnate in avventate attività di prestito per progetti con dubbio ritorno economico è chiaro: non potete più contare su liquidità illimitata e a basso costo da parte dell’autorità monetaria. Considerate le quantità di credito concesse dall’inizio della crisi finanziaria nel 2008, le prospettive di crescita dell’economia cinese appaiono sempre più precarie.

Siamo franchi: mentre le suddette misure saranno positive sul lungo termine – l’attuale modello economico della Cina non è sostenibile – esse hanno ampie ramificazioni per i settori che hanno tratto grande vantaggio dalla crescita cinese degli ultimi cinque anni, come le commodity, l’industria mineraria e i beni di lusso, solo per citarne alcuni. Inoltre molti paesi che esportano verso la Cina – come l’Australia, il Brasile o il Cile – dovranno fare i conti con un ambiente meno favorevole. Il rovescio positivo della medaglia è che le correzioni cinesi hanno un effetto disinflazionistico e, se le condizioni generali rimarranno immutate, lasceranno un maggiore margine di manovra alle banche centrali per proseguire le loro politiche monetarie accomodanti.


Prospettive di crescita ancora intatte?
Il potenziale allentamento degli stimoli monetari negli USA e l’effettiva stretta creditizia in Cina producono un effetto domino sulla crescita economica mondiale. Nei principali mercati emergenti le condizioni finanziarie meno favorevoli comportano un probabile deterioramento delle prospettive economiche di breve termine. A ciò si aggiungono le tensioni sociali in Turchia e Brasile, che non favoriscono certo il clima di fiducia.


“Cash is king”
Alla luce dei recenti sviluppi, abbiamo aumentato la quota delle liquidità nei nostri portafogli. La nostra posizione nelle attività rischiose è passata da “sovrappeso” a “neutrale”. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo ridotto la nostra esposizione nelle azioni e nel debito dei mercati emergenti in valuta locale.
Anche se a nostro parere le banche centrali finiranno per reagire alla perdita di dinamismo economico, preferiamo adottare un approccio più cauto. Manteniamo comunque un’esposizione ragionevole sui mercati, pur con un maggiore grado di flessibilità.




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