Abenomics
Weekly Brief - 8 luglio 2013
8 Luglio 2013 12:00
ve in questa edizione del Weekly Brief di J.P. Morgan Asset Management:
- La decisione delle banche centrali europee di fornire indicazioni sulla politica monetaria futura è un altro segno del fatto che hanno ormai esaurito l'efficacia degli strumenti (tradizionali) a disposizione.
- L'evoluzione dei tassi d'interesse continuerà a risentire di altri fattori, come dimostrano le sostanziali oscillazioni registrate nella fase in cui i tassi ufficiali sono rimasti a livelli bassissimi.
- Le valutazioni dei Mercati Emergenti sono interessanti a livello di indice, ma i prezzi di molti mercati di minori dimensioni superano le medie storiche.
Riflessione della settimana
L'indice dei responsabili degli acquisti (Pmi) dell'area Euro di giugno è salito a 48,8 punti (da 48,3 a maggio) toccando il massimo degli ultimi 16 mesi e segnando una ripresa in quasi tutti i paesi della regione. Anche se il dato complessivo è rimasto sotto la soglia dei 50 punti che separa espansione e contrazione, sia la componente produzione sia quella nuovi ordini hanno evidenziato maggiore vitalità. Prima di febbraio 2009 la correlazione tra l'andamento dell'indicatore e quello dei mercati azionari era molto alta ma successivamente, a causa della crisi del debito, sull'evoluzione delle borse hanno pesato più le oscillazioni della fiducia e l'incertezza che i fondamentali. Di conseguenza, tra l'indice Pmi e l'Euro Stoxx 50 si è aperto un divario. Tuttavia, le misure recentemente introdotte dalla Bce e dai politici europei per stabilizzare il sistema finanziario e il miglioramento della fiducia degli investitori stanno creando le condizioni necessarie per eliminarlo.
Fuori pista
Seguendo l’esempio della Federal Reserve statunitense, sia la Banca Centrale Europea che la Banca d'Inghilterra hanno iniziato a rilasciare indicazioni sulle decisioni di politica monetaria future, un cambiamento attribuibile alla recente impennata delle aspettative di mercato sui tassi d'interesse. Nel corso degli ultimi mesi i mercati erano infatti arrivati a scontare un aumento di 50-70 punti base dei tassi entro la fine del 2015 rispetto alle previsioni di fine aprile 2013 (cfr. figura 1). In questo modo, le banche centrali sperano di convincere gli investitori che i tassi non saliranno per stimolare così l'attività di credito e gli investimenti. Apparentemente, la nuova tattica ha prodotto qualche risultato. Rispetto alle aspettative del giorno precedente l'annuncio delle due banche centrali, i tassi d'interesse del mercato dei future per il 2015 sono inizialmente scesi di 11 punti base nel Regno Unito e di 13 nell'area Euro, anche se sono poi immediatamente risaliti a fronte degli ottimi dati occupazionali statunitensi.
È invece meno chiaro in quale modo questa maggiore visibilità potrà esercitare un influsso positivo sull'economia. A prescindere da qualsiasi dichiarazione, le decisioni di politica monetaria delle banche centrali dipenderanno in ultima analisi molto più dall'evoluzione della crescita economica e dell'inflazione che dalle indicazioni rilasciate dai loro governatori. E sebbene i tassi d'interesse ufficiali abbiano senza dubbio un peso sui tassi di mercato, il costo del denaro per le 22 società e i privati dipende anche da molti altri fattori. Durante il periodo in cui la Fed ha tenuto il % 4 33 tasso sui Federal Funds fermo allo 0,25% i rendimenti dei Treasury a 10 anni hanno fluttuato tra l'1,4% e quasi il 4% e i tassi d'interesse pagati dalle aziende hanno subito variazioni di oltre 200 punti base (cfr. figura 2). Il nuovo corso delle banche centrali è un chiaro segnale che la politica monetaria ha esaurito gli strumenti a sua disposizione. I tassi d'interesse sono scesi sui minimi possibili, dove sono rimasti per un periodo lunghissimo, e il semplice sottolinearlo non può - di per se - comportare alcun impatto di rilievo sulla crescita. Aumentare l'offerta di credito alle piccole e medie imprese potrebbe invece avere qualche effetto, ma sino ad ora le banche centrali non sono state in grado di indurre le controparti commerciali a emettere maggiori prestiti.
Gli utili delle aziende giapponesi e lo yen
Anche se la stagione degli utili non inizierà che alla fine di luglio, vale la pena di considerare come stiano cambiando le aspettative sul Giappone e le relative conseguenze per la performance futura del suo mercato azionario. Sino ad ora il principale catalizzatore dei risultati di borsa è stato il tasso di cambio, ma affinché gli utili e la redditività delle imprese nipponiche possano continuare a migliorare sul lungo termine, anche quando lo yen si sarà riportato in un intervallo di oscillazione più ristretto, sarà necessario uno stimolo più consistente.
L'impatto del tasso di cambio e dell'export sull'economia e sugli utili delle aziende nipponiche potrebbe però essere sopravvalutato. Le esportazioni di beni rappresentano solo il 13,5% del Pil giapponese, una quota pressoché equivalente a quella dell'area Euro e non molto più elevata di quella degli Stati Uniti, la cui economia non è considerata dipendente dagli scambi con l'estero (cfr. figura 3). La crescita degli utili delle società dell'indice Msci Japan è naturalmente legata alle esportazioni, ma non in modo eccessivo. Le vendite all'estero rappresentano il 35% delle vendite totali del Giappone, meno quindi del 40% degli Stati Uniti e decisamente meno del 66% dei ricavi delle aziende europee (anche se i loro scambi sono in gran parte di natura interregionale).
Secondo le previsioni, nel secondo trimestre gli utili delle imprese nipponiche dovrebbero crescere del 16% su base annua, un rialzo leggermente inferiore al deprezzamento del 20% registrato dallo yen nei confronti del dollaro (di contro, l'espansione attesa degli utili delle società statunitensi dovrebbe essere del 3% soltanto mentre quelli delle aziende europee dovrebbero ridursi dello 0,6%, tenendo però conto che il tasso europeo si basa su un campione più piccolo, formato solo dalle società che pubblicano i dati trimestrali). Poiché il deprezzamento dello yen ha perso velocità, hanno iniziato a rallentare anche le revisioni delle stime degli analisti (cfr. figura 4). Se il cambio dovesse stabilizzarsi, come aveva fatto verso la fine del 2012, le revisioni degli utili potrebbero arrestarsi.
Vista la modesta esposizione alle vendite sui mercati stranieri, una volta svaniti gli impatti straordinari della svalutazione dello yen le imprese nipponiche dovranno necessariamente fare affidamento su maggiori ricavi e una crescita più robusta degli utili nazionali. Le riforme proposte dal primo ministro Abe saranno d’importanza cruciale, ma forse ancor più necessaria sarebbe una riforma societaria. I tentativi compiuti in passato dagli azionisti di minoranza per cambiare la governance aziendale in Giappone non hanno sortito grossi successi, ma dove questi hanno fallito potrebbe riuscire la concorrenza estera. Consigliamo di monitorare attentamente i progressi del paese nell'adesione al trattato commerciale Tpp (Trans Pacific Partnership). Se Abe non riuscirà a superare gli ostacoli creati dall'inevitabile opposizione interna, la rinascita del Giappone potrebbe avere breve durata.
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ARTICOLO AD USO ESCLUSIVO DEGLI INVESTITORI PROFESSIONISTI E QUALIFICATI.
Tutti
gli investimenti comportano dei rischi, tra cui la possibile perdita
del capitale. Le opinioni espresse sono quelle dell’autore/autori alla
data di pubblicazione del documento e possono variare in qualsiasi
momento a causa di cambiamenti del mercato o delle condizioni
economiche.
Tutte le informazioni concernenti, i rendimenti
attesi e le prospettive di mercato si basano sui risultati della
ricerca, delle analisi e delle opinioni dell’autore/autori. Pertanto,
talune conclusioni sono anche di natura speculativa e potrebbero quindi
non realizzarsi.
I rendimenti passati non sono indicativi dei
risultati futuri. Tutti gli investimenti comportano rischi, tra cui la
possibile perdita del capitale.
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- Le valutazioni dei Mercati Emergenti sono interessanti a livello di indice, ma i prezzi di molti mercati di minori dimensioni superano le medie storiche.
Riflessione della settimana
L'indice dei responsabili degli acquisti (Pmi) dell'area Euro di giugno è salito a 48,8 punti (da 48,3 a maggio) toccando il massimo degli ultimi 16 mesi e segnando una ripresa in quasi tutti i paesi della regione. Anche se il dato complessivo è rimasto sotto la soglia dei 50 punti che separa espansione e contrazione, sia la componente produzione sia quella nuovi ordini hanno evidenziato maggiore vitalità. Prima di febbraio 2009 la correlazione tra l'andamento dell'indicatore e quello dei mercati azionari era molto alta ma successivamente, a causa della crisi del debito, sull'evoluzione delle borse hanno pesato più le oscillazioni della fiducia e l'incertezza che i fondamentali. Di conseguenza, tra l'indice Pmi e l'Euro Stoxx 50 si è aperto un divario. Tuttavia, le misure recentemente introdotte dalla Bce e dai politici europei per stabilizzare il sistema finanziario e il miglioramento della fiducia degli investitori stanno creando le condizioni necessarie per eliminarlo.
Fuori pista
Seguendo l’esempio della Federal Reserve statunitense, sia la Banca Centrale Europea che la Banca d'Inghilterra hanno iniziato a rilasciare indicazioni sulle decisioni di politica monetaria future, un cambiamento attribuibile alla recente impennata delle aspettative di mercato sui tassi d'interesse. Nel corso degli ultimi mesi i mercati erano infatti arrivati a scontare un aumento di 50-70 punti base dei tassi entro la fine del 2015 rispetto alle previsioni di fine aprile 2013 (cfr. figura 1). In questo modo, le banche centrali sperano di convincere gli investitori che i tassi non saliranno per stimolare così l'attività di credito e gli investimenti. Apparentemente, la nuova tattica ha prodotto qualche risultato. Rispetto alle aspettative del giorno precedente l'annuncio delle due banche centrali, i tassi d'interesse del mercato dei future per il 2015 sono inizialmente scesi di 11 punti base nel Regno Unito e di 13 nell'area Euro, anche se sono poi immediatamente risaliti a fronte degli ottimi dati occupazionali statunitensi.
È invece meno chiaro in quale modo questa maggiore visibilità potrà esercitare un influsso positivo sull'economia. A prescindere da qualsiasi dichiarazione, le decisioni di politica monetaria delle banche centrali dipenderanno in ultima analisi molto più dall'evoluzione della crescita economica e dell'inflazione che dalle indicazioni rilasciate dai loro governatori. E sebbene i tassi d'interesse ufficiali abbiano senza dubbio un peso sui tassi di mercato, il costo del denaro per le 22 società e i privati dipende anche da molti altri fattori. Durante il periodo in cui la Fed ha tenuto il % 4 33 tasso sui Federal Funds fermo allo 0,25% i rendimenti dei Treasury a 10 anni hanno fluttuato tra l'1,4% e quasi il 4% e i tassi d'interesse pagati dalle aziende hanno subito variazioni di oltre 200 punti base (cfr. figura 2). Il nuovo corso delle banche centrali è un chiaro segnale che la politica monetaria ha esaurito gli strumenti a sua disposizione. I tassi d'interesse sono scesi sui minimi possibili, dove sono rimasti per un periodo lunghissimo, e il semplice sottolinearlo non può - di per se - comportare alcun impatto di rilievo sulla crescita. Aumentare l'offerta di credito alle piccole e medie imprese potrebbe invece avere qualche effetto, ma sino ad ora le banche centrali non sono state in grado di indurre le controparti commerciali a emettere maggiori prestiti.
Gli utili delle aziende giapponesi e lo yen
Anche se la stagione degli utili non inizierà che alla fine di luglio, vale la pena di considerare come stiano cambiando le aspettative sul Giappone e le relative conseguenze per la performance futura del suo mercato azionario. Sino ad ora il principale catalizzatore dei risultati di borsa è stato il tasso di cambio, ma affinché gli utili e la redditività delle imprese nipponiche possano continuare a migliorare sul lungo termine, anche quando lo yen si sarà riportato in un intervallo di oscillazione più ristretto, sarà necessario uno stimolo più consistente.
L'impatto del tasso di cambio e dell'export sull'economia e sugli utili delle aziende nipponiche potrebbe però essere sopravvalutato. Le esportazioni di beni rappresentano solo il 13,5% del Pil giapponese, una quota pressoché equivalente a quella dell'area Euro e non molto più elevata di quella degli Stati Uniti, la cui economia non è considerata dipendente dagli scambi con l'estero (cfr. figura 3). La crescita degli utili delle società dell'indice Msci Japan è naturalmente legata alle esportazioni, ma non in modo eccessivo. Le vendite all'estero rappresentano il 35% delle vendite totali del Giappone, meno quindi del 40% degli Stati Uniti e decisamente meno del 66% dei ricavi delle aziende europee (anche se i loro scambi sono in gran parte di natura interregionale).
Secondo le previsioni, nel secondo trimestre gli utili delle imprese nipponiche dovrebbero crescere del 16% su base annua, un rialzo leggermente inferiore al deprezzamento del 20% registrato dallo yen nei confronti del dollaro (di contro, l'espansione attesa degli utili delle società statunitensi dovrebbe essere del 3% soltanto mentre quelli delle aziende europee dovrebbero ridursi dello 0,6%, tenendo però conto che il tasso europeo si basa su un campione più piccolo, formato solo dalle società che pubblicano i dati trimestrali). Poiché il deprezzamento dello yen ha perso velocità, hanno iniziato a rallentare anche le revisioni delle stime degli analisti (cfr. figura 4). Se il cambio dovesse stabilizzarsi, come aveva fatto verso la fine del 2012, le revisioni degli utili potrebbero arrestarsi.
Vista la modesta esposizione alle vendite sui mercati stranieri, una volta svaniti gli impatti straordinari della svalutazione dello yen le imprese nipponiche dovranno necessariamente fare affidamento su maggiori ricavi e una crescita più robusta degli utili nazionali. Le riforme proposte dal primo ministro Abe saranno d’importanza cruciale, ma forse ancor più necessaria sarebbe una riforma societaria. I tentativi compiuti in passato dagli azionisti di minoranza per cambiare la governance aziendale in Giappone non hanno sortito grossi successi, ma dove questi hanno fallito potrebbe riuscire la concorrenza estera. Consigliamo di monitorare attentamente i progressi del paese nell'adesione al trattato commerciale Tpp (Trans Pacific Partnership). Se Abe non riuscirà a superare gli ostacoli creati dall'inevitabile opposizione interna, la rinascita del Giappone potrebbe avere breve durata.
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Tutti
gli investimenti comportano dei rischi, tra cui la possibile perdita
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momento a causa di cambiamenti del mercato o delle condizioni
economiche.
Tutte le informazioni concernenti, i rendimenti
attesi e le prospettive di mercato si basano sui risultati della
ricerca, delle analisi e delle opinioni dell’autore/autori. Pertanto,
talune conclusioni sono anche di natura speculativa e potrebbero quindi
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