debito pubblico

Il tetto del debito USA torna in primo piano

1 Ottobre 2013 20:00

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osciuto come il “tetto del debito”, ed è il limite fissato per legge negli Stati Uniti alla quantità di titoli di debito in circolazione in un determinato momento. Entro metà ottobre si stima che tale limite, stabilito in 16.700 miliardi di dollari, verrà raggiunto e che ciò indurrà una nuova fase di incertezza e farà ripartire il dibattito politico, in attesa di capire come le parti politiche intendano studiare il modo di far passare una legge che lo alzi.

Il superamento del tetto porta infatti ad una situazione tecnica di insolvenza, per l’incapacità di emettere nuovo debito con cui far fronte alle scadenze, che potrebbe avere ripercussioni molto sfavorevoli per il paese e per i mercati. Già nel 2011 si era prospettata una situazione simile. Il rischio di default tecnico e le difficoltà emerse nella fase di definizione e innalzamento del tetto avevano portato allo storico downgrade di S&P che aveva eliminato gli Stati Uniti dal novero sempre più risicato di paesi a tripla A. In realtà il rialzo del tetto del debito è una procedura piuttosto consolidata negli Stati Uniti e, sebbene si tenda sempre a ritardare all'ultimo minuto le negoziazioni in merito, il rialzo è diventata una decisione quasi scontata.

“Tuttavia la fase politica attuale più complessa e il braccio di ferro a cui ci hanno abituati democratici e repubblicani, potrebbero rendere il processo meno fluido e determinare un più lungo periodo di incertezza” dichiara a FinanciaLounge Maria Paola Toschi, Executive Director Market Strategist J.P. Morgan Asset Management che poi prosegue:

“È probabile che in cambio dell’innalzamento del tetto i repubblicani chiedano tagli al piano sanitario che è il punto centrale del programma del Presidente Obama. Il fallimento o i lunghi tempi del negoziato potrebbero avere ripercussioni sul sistema economico americano che prevede la chiusura automatica di alcuni servizi federali, mettendo ancora a rischio la timida ripresa e il calo della disoccupazione che sono sempre al centro dell’attenzione dei mercati e della Federal Reserve (Fed).

A questo riguardo è possibile che la decisione della Fed di posticipare il cosiddetto tapering, ovvero il calo graduale del quantitative easing, possa essere stata dettata proprio dalla volontà della Fed di far assorbire meglio ai mercati, grazie al supporto della liquidità, le eventuali ripercussioni sfavorevoli del dibattito sul rialzo del tetto del debito”.

Non si prevede un rischio reale di default tecnico o di mancato rialzo del tetto. Inoltre, la minaccia di un ulteriore declassamento del debito statunitense di lungo periodo sembra poco probabile, dal momento che il deficit del paese è sceso di circa il 50% dal 2009 ad oggi.

“Di solito, fino a che non si è raggiunta una decisione su questo tema, è possibile che i mercati restino in fase di attesa o siano più volatili, con ripercussioni anche a livello globale. Ciò potrebbe essere vero soprattutto dopo la lunga fase di rally che ha favorito i mercati azionari trainati dalla liquidità e dal trend positivo dell'economia USA. Non pensiamo tuttavia che il dibattito sul rialzo del tetto possa innescare una fase di forte correzione dei mercati azionari che restano supportati da un buon momentum economico e ancora da buone valutazioni soprattutto rispetto alle obbligazioni.

Tuttavia la dinamica di crescita del debito americano è piuttosto impressionante nonostante gli Stati Uniti siano un paese in crescita e che quindi può in parte bilanciare l’aumento dello stock di debito pubblico con una dinamica positiva del PIL, a differenza di molti paesi europei. Ma il tema del debito resta un nodo cruciale per le principali economie avanzate che, anche nei paesi più forti e virtuosi, renderà sempre più urgenti e necessarie delle riforme strutturali e delle più incisive politiche di contenimento” puntualizza Maria Paola Toschi.

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