Enrique Pena Nieto
La svolta storica del petrolio messicano
30 Ottobre 2013 07:00
forma storica per il Messico. Così è stata battezzata la decisione adottata lo scorso mese di agosto dal presidente messicano Enrique Pena Nieto che di fatto riapre ai privati la possibilità di investire nell’industria petrolifera del Paese.
Un possibile ritorno dopo oltre 50 anni: la compagnia petrolifera di stato Pemex, controlla l’intera industria dell’oro nero del Paese in regime di assoluto monopolio dal 1958. Se la riforma varata dal presidente messicano riuscirà a prendere forma come legge di stato, si configurerebbero delle interessanti opportunità per le compagnie petrolifere straniere sia per quelle integrate e sia anche per quelle specializzate: da quelle di impiantistica a quelle dei servizi, da quelle che producono macchinari per l’industria estrattiva a quelle attive nelle tubature per pipeline.
Ma perché il Messico potrebbe prendere questa storica decisione?
È vero, statistiche alla mano, che il paese è il nono produttore mondiale di petrolio e il terzo fornitore degli Stati Uniti, ma è altrettanto sacrosanto che dal 2000 la sua produzione giornaliera continua ad accusare colpi e oggi non va oltre i 2,93 milioni di barili al giorno. Ancora peggio le sue riserve stimate di petrolio che dai 60 miliardi di barili di fine anni ’90 si sono assottigliate agli attuali 10 miliardi di barili.
Secondo un recente studio di una società specializzata indipendente, per poter sfruttare gli oltre 40 miliardi di barili equivalenti che giacciono nel sottosuolo del Messico, la compagnia Pemex dovrebbe stanziare investimenti 12 volte superiori a quelli disposti quest’anno: ma se ciò avvenisse, anche tramite compagnie estere, la produzione petrolifera nazionale potrebbe salire del 25% proiettando il Messico tra i primi 6 big mondiali del petrolio.
Un possibile ritorno dopo oltre 50 anni: la compagnia petrolifera di stato Pemex, controlla l’intera industria dell’oro nero del Paese in regime di assoluto monopolio dal 1958. Se la riforma varata dal presidente messicano riuscirà a prendere forma come legge di stato, si configurerebbero delle interessanti opportunità per le compagnie petrolifere straniere sia per quelle integrate e sia anche per quelle specializzate: da quelle di impiantistica a quelle dei servizi, da quelle che producono macchinari per l’industria estrattiva a quelle attive nelle tubature per pipeline.
Ma perché il Messico potrebbe prendere questa storica decisione?
È vero, statistiche alla mano, che il paese è il nono produttore mondiale di petrolio e il terzo fornitore degli Stati Uniti, ma è altrettanto sacrosanto che dal 2000 la sua produzione giornaliera continua ad accusare colpi e oggi non va oltre i 2,93 milioni di barili al giorno. Ancora peggio le sue riserve stimate di petrolio che dai 60 miliardi di barili di fine anni ’90 si sono assottigliate agli attuali 10 miliardi di barili.
Secondo un recente studio di una società specializzata indipendente, per poter sfruttare gli oltre 40 miliardi di barili equivalenti che giacciono nel sottosuolo del Messico, la compagnia Pemex dovrebbe stanziare investimenti 12 volte superiori a quelli disposti quest’anno: ma se ciò avvenisse, anche tramite compagnie estere, la produzione petrolifera nazionale potrebbe salire del 25% proiettando il Messico tra i primi 6 big mondiali del petrolio.
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