crisi
La globalizzazione 2.0 degli emerging markets
28 Gennaio 2014 10:05
izie della scorsa settimana, dal rallentamento dell’economia cinese alle pesanti svalutazioni valutarie in Argentina e in Venezuela, dal caos in Egitto alle proteste in Ucraina, dagli allarmi terroristici ai Giochi Olimpici invernali ai pesanti ribassi nelle valute del Sudafrica e della Turchia, danno l’impressione generale che i mercati emergenti siano ancora in uno stato di crisi: persino i mercati solidi, dove le riforme sono state avviate, come Messico, Russia e Corea del Sud, sono stati colpiti. In questo scenario, i trader iniziano a vendere per poi vedere cosa accade in un secondo momento.
“Gli eventi degli ultimi giorni rappresentano un campanello di allarme per alcuni governi dei paesi emergenti: o le necessarie riforme vengono attuate o dovranno affrontare gli attacchi potenziali dei mercati” sottolinea Peter Marber, Head of Emerging Market Investments, Loomis Sayles & Company (Gruppo Natixis Global AM) per il quale, tuttavia, molto di questo panico sembra ingiustificato.
Rispetto al 1998, fa infatti notare Peter Marber, i mercati emergenti detengono oltre 7.000 miliardi di dollari in più di riserve in valuta forte in modo da proteggersi dalla volatilità dei mercati. Per la gran parte degli emergenti, i problemi attuali non sono come quelli della metà degli anni ‘90. Davvero pochi paesi sono vicini al deafult e quelli che possono esserlo sono relativamente piccoli. Certamente alcuni paesi hanno delle difficoltà, come Argentina, Venezuela e Ucraina. Ma da un punto di vista generale, la salute economica dei mercati emergenti è molto più solida che 15 anni fa.
“In quella che ho definito “Globalizzazione 1.0”, iniziata intorno al 1998 dopo le crisi in Messico, Russia e Asia, le valute dei mercati emergenti si erano svalutate portando a un boom delle esportazioni e creando crescita a livello globale in un circolo virtuoso.
Ma la “Globalizzazione 2.0”, iniziata nel 2008, ha interrotto questo processo. La domanda negli Stati Uniti è calata, cosi come le importazioni americane di energia e il livello degli scambi internazionali è rallentato” ricorda Peter Marber.
Tutti i paesi, sia sviluppati, sia emergenti, devono necessariamente adattarsi alla globalizzazione 2.0 attraverso una serie di riforme. Quei paesi che non si adattano rimarranno vulnerabili e subiranno inevitabilmente la volatilità dei mercati.
“Il 2014 è un anno di elezioni in molti mercati emergenti, tra gli altri Brasile, Sudafrica, Turchia, Indonesia. Pochi dei politici in carica intendono attuare pesanti pacchetti di riforme che potrebbero mettere a rischio la ri-elezione. E i mercati stanno punendo chi ha fallito nel processo riformatore” conclude Peter Marber.
“Gli eventi degli ultimi giorni rappresentano un campanello di allarme per alcuni governi dei paesi emergenti: o le necessarie riforme vengono attuate o dovranno affrontare gli attacchi potenziali dei mercati” sottolinea Peter Marber, Head of Emerging Market Investments, Loomis Sayles & Company (Gruppo Natixis Global AM) per il quale, tuttavia, molto di questo panico sembra ingiustificato.
Rispetto al 1998, fa infatti notare Peter Marber, i mercati emergenti detengono oltre 7.000 miliardi di dollari in più di riserve in valuta forte in modo da proteggersi dalla volatilità dei mercati. Per la gran parte degli emergenti, i problemi attuali non sono come quelli della metà degli anni ‘90. Davvero pochi paesi sono vicini al deafult e quelli che possono esserlo sono relativamente piccoli. Certamente alcuni paesi hanno delle difficoltà, come Argentina, Venezuela e Ucraina. Ma da un punto di vista generale, la salute economica dei mercati emergenti è molto più solida che 15 anni fa.
“In quella che ho definito “Globalizzazione 1.0”, iniziata intorno al 1998 dopo le crisi in Messico, Russia e Asia, le valute dei mercati emergenti si erano svalutate portando a un boom delle esportazioni e creando crescita a livello globale in un circolo virtuoso.
Ma la “Globalizzazione 2.0”, iniziata nel 2008, ha interrotto questo processo. La domanda negli Stati Uniti è calata, cosi come le importazioni americane di energia e il livello degli scambi internazionali è rallentato” ricorda Peter Marber.
Tutti i paesi, sia sviluppati, sia emergenti, devono necessariamente adattarsi alla globalizzazione 2.0 attraverso una serie di riforme. Quei paesi che non si adattano rimarranno vulnerabili e subiranno inevitabilmente la volatilità dei mercati.
“Il 2014 è un anno di elezioni in molti mercati emergenti, tra gli altri Brasile, Sudafrica, Turchia, Indonesia. Pochi dei politici in carica intendono attuare pesanti pacchetti di riforme che potrebbero mettere a rischio la ri-elezione. E i mercati stanno punendo chi ha fallito nel processo riformatore” conclude Peter Marber.