Christophe Bernard
Spagna e Turchia: destini divergenti
10 Febbraio 2014 11:00
lato la Spagna che dopo aver perso la fiducia degli investitori, è riuscita a riconquistarla in virtù degli enormi progressi nell’affrontare i suoi problemi strutturali propiziando il ritorno del capitale estero dopo una “quarantena” durata cinque anni. Sul lato opposto, la Turchia che, al contrario, sta perdendo la sua attrattiva faticosamente guadagnata tra gli investitori.
Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel spiega il perchè di questi due destini divergenti.
"Dopo anni di dolorosi adeguamenti e di profonda recessione, la Spagna sta entrando in una fase di ripresa. Ne sono una prova la modesta espansione del prodotto interno lordo (PIL) nel terzo trimestre dell’anno scorso e la lieve contrazione del, pur sempre elevato, tasso di disoccupazione. Il dato più sorprendente è che il deficit delle partite correnti, che nel 2008 aveva raggiunto il 12 percento del PIL, si è trasformato nel 2013 in un avanzo. Questo miglioramento è dovuto a un calo delle importazioni sulla scia delle draconiche misure di austerità e, fattore ancora più importante, a un aumento delle esportazioni" sottolinea Christophe Bernard."
Le riforme del mercato del lavoro e il taglio dei salari reali hanno infatti stimolato la competitività del paese, soprattutto nei confronti della Francia e dell’Italia, dove il costo del lavoro continua a salire. I progressi compiuti dalla Spagna in questo campo sono degni di rilievo anche nel paragone con le misure adottate dai principali partner commerciali dal 2010 a oggi: la flessione del costo unitario del lavoro ha infatti favorito la competitività spagnola e oggi, in Spagna, un operaio edile costa la metà che in Francia.
"Non sorprende quindi che le imprese edili spagnole stiano vincendo sempre più gare di appalto per opere pubbliche sul versante dei Pirenei. Dopo diversi anni di massicce correzioni, i prezzi degli immobili residenziali stanno raggiungendo un equilibrio di lungo periodo, le vendite al dettaglio e gli acquisti di automobili stanno risalendo la china e le banche spagnole sono diventate meno dipendenti dai programmi di liquidità della Banca centrale europea" riferisce Christophe Bernard.
Gli investitori obbligazionari hanno premiato questi progressi con un ribasso del rendimento dei titoli di Stato decennali spagnoli al 3,70%, abbassando lo spread rispetto ai Bund decennali tedeschi a 200 punti base (bp) rispetto al picco di 600 punti base del giugno 2012. Dopo aver risolto il problema delle partite correnti, il paese deve ora intervenire sulle finanze pubbliche: il deficit di bilancio rimane ostinatamente elevato a meno 6,5 percento del PIL per il 2013, mentre il target per il 2014 è meno 5,8 percento. Di conseguenza, il rapporto debito/PIL continua a salire.
"Per arrestare questa tendenza, occorrerebbe una combinazione di maggiore crescita nominale e sostanziale surplus del bilancio primario: una situazione che potrà difficilmente verificarsi nel prossimo futuro. Nel complesso, la Spagna è riuscita a riconquistare la fiducia degli investitori. Questa grossa conquista contribuisce alla stabilità della zona euro e, a nostro avviso, aiuterà gli asset spagnoli a proseguire il loro movimento rialzista" argomenta Christophe Bernard
Sull’altro lato del Mediterraneo, le prospettive della Turchia si fanno invece sempre più cupe. Le lotte intestine tra i vari rami del governo, i frenetici sforzi per soffocare i disordini sociali e gli sviluppi economici avversi stanno erodendo la fiducia degli investitori e dei cittadini. Per coprire il vasto deficit delle partite correnti, la Turchia si finanzia sia con investimenti diretti esteri a lungo termine sia con flussi di capitale a breve termine. Tuttavia, gli investimenti diretti esteri sono fortemente in calo e la popolazione scambia la lira turca con valute più sicure: in questo contesto le autorità monetarie di Ankara non hanno avuto altra scelta che alzare i tassi di interesse per frenare l’esodo di capitali.
"La situazione viene aggravata da una banca centrale che fino a pochi giorni fa si era mostrata riluttante ad alzare i tassi di interesse, un prerequisito per attirare gli investitori alla ricerca di un rendimento reale interessante per il loro capitale. La spirale ribassista della lira turca è stata frenata in extremis dalla decisione della banca centrale del 28 gennaio scorso di alzare notevolmente i tassi di interesse, dando un completo giro di boa alla sua precedente politica. Questa manovra, seppure necessaria, getta un’ombra sulla politica della banca centrale e genera considerevoli incertezze per l’economia" sostiene Christophe Bernard.
Le ripetute invettive lanciate dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan contro un’immaginaria “lobby dei tassi” non hanno certo favorito il processo decisionale della banca centrale. Tutto sommato, la Turchia sta perdendo la sua credibilità così faticosamente guadagnata negli anni scorsi.
"Ciò ci porta alle tre situazioni che potrebbero soffocare l’euforia degli investitori, cioè: 1) una possibile impennata dei rendimenti dei titoli di Stato; 2) un’opera incompiuta nella zona euro; 3) il rischio di una sconfitta dei mercati emergenti" ricorda Christophe Bernard che, subito dopo, cerca di fare il punto: "Innanzitutto, il crollo dei prezzi dei titoli di Stato rimane una possibilità remota: l’inflazione è sotto controllo, i tassi di interesse restano ancorati allo zero e il rendimento dei titoli di Stato decennali americani si mantengono entro un trading range tra il 2,5% e il 3,0%. In secondo luogo, i progressi osservati nei cosiddetti paesi periferici dell’Europa e gli indicatori della zona euro del gennaio 2014 (indici “flash” degli addetti agli acquisti, PMI) stanno andando nella direzione giusta. Quanto al terzo punto, i mercati emergenti hanno effettivamente innescato la retromarcia. Gli investitori esprimono il loro scontento abbandonando le valute degli emittenti che non sono disposti ad adottare riforme strutturali e lottare contro un’inflazione endemica. Ad eccezione di Cina e Messico, manca la volontà politica di risolvere i problemi con soluzioni durature".
Nei mercati emergenti Christophe Bernard non esclude nuove revisioni al ribasso delle previsioni di crescita economica.
Ciò nonostante il Chief Strategist di Vontobel mantiene il proprio scenario principale di una ripresa globale su ampia scala, sostenuta dalla forte congiuntura degli USA e del Regno Unito e dagli incoraggianti segnali provenienti dalla zona euro.
"Quando gli investitori avranno abbandonato il loro esagerato ottimismo, le politiche monetarie accomodanti, il basso tasso di inflazione, la ripresa economica e la robusta redditività delle imprese apriranno prospettive positive per i mercati azionari sviluppati. Sfrutteremo le debolezze del mercato per aumentare in modo selettivo la nostra esposizione nei mercati azionari" conclude Christophe Bernard.
Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel spiega il perchè di questi due destini divergenti.
"Dopo anni di dolorosi adeguamenti e di profonda recessione, la Spagna sta entrando in una fase di ripresa. Ne sono una prova la modesta espansione del prodotto interno lordo (PIL) nel terzo trimestre dell’anno scorso e la lieve contrazione del, pur sempre elevato, tasso di disoccupazione. Il dato più sorprendente è che il deficit delle partite correnti, che nel 2008 aveva raggiunto il 12 percento del PIL, si è trasformato nel 2013 in un avanzo. Questo miglioramento è dovuto a un calo delle importazioni sulla scia delle draconiche misure di austerità e, fattore ancora più importante, a un aumento delle esportazioni" sottolinea Christophe Bernard."
Le riforme del mercato del lavoro e il taglio dei salari reali hanno infatti stimolato la competitività del paese, soprattutto nei confronti della Francia e dell’Italia, dove il costo del lavoro continua a salire. I progressi compiuti dalla Spagna in questo campo sono degni di rilievo anche nel paragone con le misure adottate dai principali partner commerciali dal 2010 a oggi: la flessione del costo unitario del lavoro ha infatti favorito la competitività spagnola e oggi, in Spagna, un operaio edile costa la metà che in Francia.
"Non sorprende quindi che le imprese edili spagnole stiano vincendo sempre più gare di appalto per opere pubbliche sul versante dei Pirenei. Dopo diversi anni di massicce correzioni, i prezzi degli immobili residenziali stanno raggiungendo un equilibrio di lungo periodo, le vendite al dettaglio e gli acquisti di automobili stanno risalendo la china e le banche spagnole sono diventate meno dipendenti dai programmi di liquidità della Banca centrale europea" riferisce Christophe Bernard.
Gli investitori obbligazionari hanno premiato questi progressi con un ribasso del rendimento dei titoli di Stato decennali spagnoli al 3,70%, abbassando lo spread rispetto ai Bund decennali tedeschi a 200 punti base (bp) rispetto al picco di 600 punti base del giugno 2012. Dopo aver risolto il problema delle partite correnti, il paese deve ora intervenire sulle finanze pubbliche: il deficit di bilancio rimane ostinatamente elevato a meno 6,5 percento del PIL per il 2013, mentre il target per il 2014 è meno 5,8 percento. Di conseguenza, il rapporto debito/PIL continua a salire.
"Per arrestare questa tendenza, occorrerebbe una combinazione di maggiore crescita nominale e sostanziale surplus del bilancio primario: una situazione che potrà difficilmente verificarsi nel prossimo futuro. Nel complesso, la Spagna è riuscita a riconquistare la fiducia degli investitori. Questa grossa conquista contribuisce alla stabilità della zona euro e, a nostro avviso, aiuterà gli asset spagnoli a proseguire il loro movimento rialzista" argomenta Christophe Bernard
Sull’altro lato del Mediterraneo, le prospettive della Turchia si fanno invece sempre più cupe. Le lotte intestine tra i vari rami del governo, i frenetici sforzi per soffocare i disordini sociali e gli sviluppi economici avversi stanno erodendo la fiducia degli investitori e dei cittadini. Per coprire il vasto deficit delle partite correnti, la Turchia si finanzia sia con investimenti diretti esteri a lungo termine sia con flussi di capitale a breve termine. Tuttavia, gli investimenti diretti esteri sono fortemente in calo e la popolazione scambia la lira turca con valute più sicure: in questo contesto le autorità monetarie di Ankara non hanno avuto altra scelta che alzare i tassi di interesse per frenare l’esodo di capitali.
"La situazione viene aggravata da una banca centrale che fino a pochi giorni fa si era mostrata riluttante ad alzare i tassi di interesse, un prerequisito per attirare gli investitori alla ricerca di un rendimento reale interessante per il loro capitale. La spirale ribassista della lira turca è stata frenata in extremis dalla decisione della banca centrale del 28 gennaio scorso di alzare notevolmente i tassi di interesse, dando un completo giro di boa alla sua precedente politica. Questa manovra, seppure necessaria, getta un’ombra sulla politica della banca centrale e genera considerevoli incertezze per l’economia" sostiene Christophe Bernard.
Le ripetute invettive lanciate dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan contro un’immaginaria “lobby dei tassi” non hanno certo favorito il processo decisionale della banca centrale. Tutto sommato, la Turchia sta perdendo la sua credibilità così faticosamente guadagnata negli anni scorsi.
"Ciò ci porta alle tre situazioni che potrebbero soffocare l’euforia degli investitori, cioè: 1) una possibile impennata dei rendimenti dei titoli di Stato; 2) un’opera incompiuta nella zona euro; 3) il rischio di una sconfitta dei mercati emergenti" ricorda Christophe Bernard che, subito dopo, cerca di fare il punto: "Innanzitutto, il crollo dei prezzi dei titoli di Stato rimane una possibilità remota: l’inflazione è sotto controllo, i tassi di interesse restano ancorati allo zero e il rendimento dei titoli di Stato decennali americani si mantengono entro un trading range tra il 2,5% e il 3,0%. In secondo luogo, i progressi osservati nei cosiddetti paesi periferici dell’Europa e gli indicatori della zona euro del gennaio 2014 (indici “flash” degli addetti agli acquisti, PMI) stanno andando nella direzione giusta. Quanto al terzo punto, i mercati emergenti hanno effettivamente innescato la retromarcia. Gli investitori esprimono il loro scontento abbandonando le valute degli emittenti che non sono disposti ad adottare riforme strutturali e lottare contro un’inflazione endemica. Ad eccezione di Cina e Messico, manca la volontà politica di risolvere i problemi con soluzioni durature".
Nei mercati emergenti Christophe Bernard non esclude nuove revisioni al ribasso delle previsioni di crescita economica.
Ciò nonostante il Chief Strategist di Vontobel mantiene il proprio scenario principale di una ripresa globale su ampia scala, sostenuta dalla forte congiuntura degli USA e del Regno Unito e dagli incoraggianti segnali provenienti dalla zona euro.
"Quando gli investitori avranno abbandonato il loro esagerato ottimismo, le politiche monetarie accomodanti, il basso tasso di inflazione, la ripresa economica e la robusta redditività delle imprese apriranno prospettive positive per i mercati azionari sviluppati. Sfrutteremo le debolezze del mercato per aumentare in modo selettivo la nostra esposizione nei mercati azionari" conclude Christophe Bernard.