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Così il Myanmar incentiva gli investimenti esteri
6 Marzo 2014 09:10
se che, sebbene sia nel cuore dell’Asia (confina con Cina, India e Tailandia) fa poco parlare di sé. L’ultima volta che ha guadagnato i titoli dei telegiornali è stato nel settembre del 2007 in occasione delle proteste di piazza guidate da monaci buddhisti, che proclamavano un cambiamento in senso democratico del regime del paese, e che invece sono sfociate in gravi incidenti con vittime. Eppure il Myanmar (ex Birmania) è un cantiere di riforme: dall’accelerazione sulla modernizzazione della disciplina economica alle nuove regole sulle zone speciali fino alla tutela delle proprietà intellettuali.
Con una popolazione di circa 50 milioni di abitanti e un PIL procapite nominale di 1.300 dollari, il Myanmar si pone al 159esimo posto nella graduatoria mondiale della ricchezza: obiettivo del governo è quello di colmare il gap nelle infrastrutture rispetto alla media degli altri paesi asiatici e di attrarre nuovi investimenti esteri. Per centrare questo obiettivo, il governo di Pyinmana (rinominata ufficialmente Naypyidaw dal 2006) ha varato nel 2012 la legge sugli investimenti esteri (Ide) che prevede incentivi fiscali per cinque anni e norme stringenti sia in termini di tutela ambientale che di operatività in settori ritenuti chiave: in quello estrattivo e in quello immobiliare, per esempio, è possibile avviare una nuova attività solo con un partner locale.
Tra i capitoli che il Myanmar intende modernizzare ci sono poi il diritto commerciale e fiscale, la proprietà intellettuale, la costituzione di indipendenza della Banca Centrale di credito, le telecomunicazioni, le leggi sulla corruzione e la definizione di zone economiche speciali.
A questo proposito, esistono già tre importanti insediamenti produttivi scelti dagli investitori esteri; il porto di Thilawa, a 25 kilometri da Yangon, selezionato da sudcoreani e giapponesi per la costruzione di una centrale elettrica e per uno stabilimento automobilistico; il polo petrolchimico e dell’acciaio di Dawi dove hanno messo le radici le industrie tailandesi; il porto Kyauk Phyu, dove sorgerà la pipeline per il trasporto del greggio verso la Cina.
Con una popolazione di circa 50 milioni di abitanti e un PIL procapite nominale di 1.300 dollari, il Myanmar si pone al 159esimo posto nella graduatoria mondiale della ricchezza: obiettivo del governo è quello di colmare il gap nelle infrastrutture rispetto alla media degli altri paesi asiatici e di attrarre nuovi investimenti esteri. Per centrare questo obiettivo, il governo di Pyinmana (rinominata ufficialmente Naypyidaw dal 2006) ha varato nel 2012 la legge sugli investimenti esteri (Ide) che prevede incentivi fiscali per cinque anni e norme stringenti sia in termini di tutela ambientale che di operatività in settori ritenuti chiave: in quello estrattivo e in quello immobiliare, per esempio, è possibile avviare una nuova attività solo con un partner locale.
Tra i capitoli che il Myanmar intende modernizzare ci sono poi il diritto commerciale e fiscale, la proprietà intellettuale, la costituzione di indipendenza della Banca Centrale di credito, le telecomunicazioni, le leggi sulla corruzione e la definizione di zone economiche speciali.
A questo proposito, esistono già tre importanti insediamenti produttivi scelti dagli investitori esteri; il porto di Thilawa, a 25 kilometri da Yangon, selezionato da sudcoreani e giapponesi per la costruzione di una centrale elettrica e per uno stabilimento automobilistico; il polo petrolchimico e dell’acciaio di Dawi dove hanno messo le radici le industrie tailandesi; il porto Kyauk Phyu, dove sorgerà la pipeline per il trasporto del greggio verso la Cina.
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