Confesercenti
La moda piange
27 Marzo 2014 16:30
male, anzi malissimo il 2014 per la moda italiana. Stando alla fotografia contenuta nell’ultimo report dell’Osservatorio Confesercenti il perdurare di questo momento difficile ha avuto forti ripercussioni su tutto il mondo del commercio al dettaglio. Un mix fatto di aumento della pressione fiscale e di riduzione del reddito delle famiglie, ha portato alla chiusura di molte saracinesche. Un tracollo che è diventato particolarmente grave nel settore della moda, dove nel primi mesi del 2014 si è registrata una cessazione su quattro per il solo settore dell’abbigliamento.
A nulla sono serviti i tradizionali saldi ed offerte, il numero degli esercenti chiusi nei primi due mesi ammonta a 3.065 negozi di abbigliamento, a fronte di appena 723 nuove aperture. Il saldo negativo è quindi di 2.342 unità.
Le difficoltà hanno colpito tutte le regioni, anche se con qualche distinzione: in Lombardia il calo è stato maggiore nei primi due mesi dell’anno, mentre in Sardegna le chiusure di attività sono state più che proporzionali nel corso dell’intero anno.
La crisi ha ridotto i consumi tra il 2007 ed il 2013 del 15,2%, per un totale di circa 10 miliardi di euro in meno. Numeri che impattano pesantemente sul settore dell’abbigliamento, considerata una delle icone fondamentali del Made In Italy. La riduzione dei consumi si è riflessa nella spesa media delle famiglie italiane, attestata nel 2012 al 5%, meno della metà di quanto avveniva nel lontano 1992, quando dedicavamo al vestiario oltre il 13% e che ci poneva assieme al Giappone al vertice della classifica mondiale. Probabilmente c’è anche un effetto culturale: un tempo il vestiario era legato al concetto stesso di status symbol, oggi questo è invece abbinato ai prodotti tecnologici.
È difficile fare stime su come proseguirà il trend nel prossimo futuro, l’Osservatorio Confesercenti nella sua ricerca ipotizza che se il calo dei consumi dovesse proseguire inalterato, a fine anno il numero di serrande chiuse sarà di circa 18mila. Numeri che comunque sarebbero influenzati, oltre che dal calo dei consumi e dalla spesa fiscale, anche da un effetto concorrenza sleale, con l’industria della contraffazione che fa perdere all’intero settore oltre 12 miliardi l’anno.
A nulla sono serviti i tradizionali saldi ed offerte, il numero degli esercenti chiusi nei primi due mesi ammonta a 3.065 negozi di abbigliamento, a fronte di appena 723 nuove aperture. Il saldo negativo è quindi di 2.342 unità.
Le difficoltà hanno colpito tutte le regioni, anche se con qualche distinzione: in Lombardia il calo è stato maggiore nei primi due mesi dell’anno, mentre in Sardegna le chiusure di attività sono state più che proporzionali nel corso dell’intero anno.
La crisi ha ridotto i consumi tra il 2007 ed il 2013 del 15,2%, per un totale di circa 10 miliardi di euro in meno. Numeri che impattano pesantemente sul settore dell’abbigliamento, considerata una delle icone fondamentali del Made In Italy. La riduzione dei consumi si è riflessa nella spesa media delle famiglie italiane, attestata nel 2012 al 5%, meno della metà di quanto avveniva nel lontano 1992, quando dedicavamo al vestiario oltre il 13% e che ci poneva assieme al Giappone al vertice della classifica mondiale. Probabilmente c’è anche un effetto culturale: un tempo il vestiario era legato al concetto stesso di status symbol, oggi questo è invece abbinato ai prodotti tecnologici.
È difficile fare stime su come proseguirà il trend nel prossimo futuro, l’Osservatorio Confesercenti nella sua ricerca ipotizza che se il calo dei consumi dovesse proseguire inalterato, a fine anno il numero di serrande chiuse sarà di circa 18mila. Numeri che comunque sarebbero influenzati, oltre che dal calo dei consumi e dalla spesa fiscale, anche da un effetto concorrenza sleale, con l’industria della contraffazione che fa perdere all’intero settore oltre 12 miliardi l’anno.
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