golf
Il golf può aspettare
1 Luglio 2014 09:00
a una volta la regola d’oro dell’industria bancaria, il 3-6-3. Vale a dire raccogliere capitali dai depositanti al 3%, impiegarli al 6% e arrivare puntuali al golf alle 3 del pomeriggio.
Oggi, soprattutto in Europa, è diventato tutto più difficile. Anche se il peggio della crisi è alle spalle, restano le pressioni della BCE a rafforzare il capitale e a dar credito a imprese e famiglie, mentre attrarre depositi offrendo tassi negativi o quasi è sempre più difficile. In banca ci sono ancora troppe persone impegnate a fare lavori che potrebbero fare i computer e ancora troppo poche a fare lavori che i computer non possono fare, come quello dell’advisor finanziario.
Ma c’è un problema ancora più grande che oggi mina la capacità delle banche di portare a casa ricavi superiori al costo del capitale: si chiama tecnologia, e Deloitte spiega perché in un report pubblicato qualche giorno fa. La tesi è che le banche hanno resistito bene alla prima ondata di internet, ma ora sono in ritardo rispetto ai sistemi di pagamento alternativi perché la clientela di nuova generazione si è evoluta, si fida dei nuovi canali sui quali si è abituata a servizi personalizzati e cuciti su misura.
Questo impone alle banche una rivoluzione tecnologica: passare da un’infrastruttura pensata per fare da rete di distribuzione di prodotti e servizi, la cui ultima versione è la famosa “multicanalità”, a un’architettura capace di mettere il cliente al centro offrendogli il prodotto o il servizio nel momento in cui ne ha bisogno. Sono investimenti molto importanti, ma Deloitte sostiene che è il momento giusto per farli, anche perché oggi i soldi a tasso zero della BCE ci sono, domani chissà.
Ovviamente Deloitte non è un osservatore disinteressato. Come provider globale di consulenza strategica al settore finanziario andrebbe sicuramente a intercettare almeno una fettina di questi investimenti. Ma la lettura del report offre indicazioni sensate. Per citarne una, le banche tradizionali raccolgono una montagna di dati sui clienti, ma siccome l’architettura è per prodotto, questi dati preziosi finiscono inutilizzati nei magazzini statistici di prodotto e non sono usati per profilare il cliente. Farlo implicherebbe un ribaltamento dell’architettura IT delle banche che invece in molti casi preferiscono investimenti di mantenimento, anche se costosi, piuttosto che cambiamenti radicali.
Il problema è sicuramente percepito, ma l’impressione è che spesso si pensi di risolverlo aprendo una pagina Facebook o un account Twitter per far vedere che si è al passo con i tempi digitali. Più una scorciatoia furba che una risposta adeguata alla dimensione della sfida.
Il problema di fondo resta sempre lo stesso: sostenere il costo del capitale. Finora la risposta è stata cercata soprattutto nella crescita dimensionale, con le fusioni e le acquisizioni degli ultimi anni. Una riposta alternativa (e meno rischiosa dal punto di vista sistemico) potrebbe essere aprire una nuova fase di competizione basata sull’innovazione tecnologica. Chi parte per primo rischia di vincere. A condizione che sia disposto a spendere un po’ più di tempo in ufficio e un po’ di meno sul green.
Oggi, soprattutto in Europa, è diventato tutto più difficile. Anche se il peggio della crisi è alle spalle, restano le pressioni della BCE a rafforzare il capitale e a dar credito a imprese e famiglie, mentre attrarre depositi offrendo tassi negativi o quasi è sempre più difficile. In banca ci sono ancora troppe persone impegnate a fare lavori che potrebbero fare i computer e ancora troppo poche a fare lavori che i computer non possono fare, come quello dell’advisor finanziario.
Ma c’è un problema ancora più grande che oggi mina la capacità delle banche di portare a casa ricavi superiori al costo del capitale: si chiama tecnologia, e Deloitte spiega perché in un report pubblicato qualche giorno fa. La tesi è che le banche hanno resistito bene alla prima ondata di internet, ma ora sono in ritardo rispetto ai sistemi di pagamento alternativi perché la clientela di nuova generazione si è evoluta, si fida dei nuovi canali sui quali si è abituata a servizi personalizzati e cuciti su misura.
Questo impone alle banche una rivoluzione tecnologica: passare da un’infrastruttura pensata per fare da rete di distribuzione di prodotti e servizi, la cui ultima versione è la famosa “multicanalità”, a un’architettura capace di mettere il cliente al centro offrendogli il prodotto o il servizio nel momento in cui ne ha bisogno. Sono investimenti molto importanti, ma Deloitte sostiene che è il momento giusto per farli, anche perché oggi i soldi a tasso zero della BCE ci sono, domani chissà.
Ovviamente Deloitte non è un osservatore disinteressato. Come provider globale di consulenza strategica al settore finanziario andrebbe sicuramente a intercettare almeno una fettina di questi investimenti. Ma la lettura del report offre indicazioni sensate. Per citarne una, le banche tradizionali raccolgono una montagna di dati sui clienti, ma siccome l’architettura è per prodotto, questi dati preziosi finiscono inutilizzati nei magazzini statistici di prodotto e non sono usati per profilare il cliente. Farlo implicherebbe un ribaltamento dell’architettura IT delle banche che invece in molti casi preferiscono investimenti di mantenimento, anche se costosi, piuttosto che cambiamenti radicali.
Il problema è sicuramente percepito, ma l’impressione è che spesso si pensi di risolverlo aprendo una pagina Facebook o un account Twitter per far vedere che si è al passo con i tempi digitali. Più una scorciatoia furba che una risposta adeguata alla dimensione della sfida.
Il problema di fondo resta sempre lo stesso: sostenere il costo del capitale. Finora la risposta è stata cercata soprattutto nella crescita dimensionale, con le fusioni e le acquisizioni degli ultimi anni. Una riposta alternativa (e meno rischiosa dal punto di vista sistemico) potrebbe essere aprire una nuova fase di competizione basata sull’innovazione tecnologica. Chi parte per primo rischia di vincere. A condizione che sia disposto a spendere un po’ più di tempo in ufficio e un po’ di meno sul green.
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