International Editor's Picks
International Editor’s Picks - 5 gennaio 2015
5 Gennaio 2015 09:29
re titoli bancari nel 2015? Secondo la Lex column del FT di venerdì 2 gennaio la risposta è affermativa, a condizione che si sia in grado di rispondere sì a tre domande. La prima: i regolatori hanno finalmente esaurito le richieste di nuovi requisiti di patrimonializzazione? La seconda: e le banche hanno finalmente finito di pagare multe miliardarie? La terza: e se non hanno più multe da pagare, restituiranno agli azionisti il capitale in eccesso oppure lo investiranno in grandiosi progetti di crescita?
A questo punto resta l’interrogativo su quali banche investire. Per il giornale della City le meglio posizionate per dar soddisfazione all’investitore sono quelle americane, seguono le europee e in coda restano le asiatiche.
L’economia americana corre, la disoccupazione continua a scendere, l’inflazione è praticamente assente grazie anche al calo petrolio. Per quale diavolo di motivo, allora, la Fed dovrebbe iniziare ad alzare i tassi nel 2015? Perché rischiare di rovinare un mondo perfetto? Per farsi trovare pronta all’arrivo della prossima recessione.
È la risposta un po’ paradossale ma sostanzialmente corretta fornita su Yahoo Finance dal Senior Columnist Michael Santoli. Il ragionamento è il seguente: oggi i tassi sono a zero, ma prima o poi l’economia potrebbe rischiare di entrare in recessione, e la Fed si ritroverebbe le armi spuntate, salvo ripristinare il QE, che tuttavia darebbe ai mercati la sensazione di una grave crisi. Quindi meglio iniziare a alzarli un po’ e non farsi trovare senza munizioni quando sarà il momento. Un altro passo verso la normalità dopo sette anni di emergenza.
Sharing economy. On Demand. Le due cose vanno insieme. Il primo fenomeno, di cui Uber e AirBnB sono i campioni, sta dando vita a una miriade di startup, come l’americana Handy, che grazie ad apps che si scaricano su smartphone offre on demand la più svariata gamma di servizi e prestazioni: dalla lavanderia alle lezioni di pianoforte.
Ma, osserva in una lunga analisi l’Economist, se il modello dei free-lance, dei contractor indipendenti che si offrono su Internet diventa la regola, nascono problemi che definire epocali è riduttivo. Viviamo in un mondo costruito su grandi fabbriche e grandi organizzazioni, con regole e infrastrutture sociali, regolamentari ed economiche pensate per quel mondo, non per la sharing economy e per la produzione e distribuzione di beni servizi on demand. Il mondo nuovo somiglia più quello di un’operetta di fine Ottocento, che immagina un arcipelago polinesiano dove tutti gli abitanti vengono trasformati in limited, aziende a responsabilità limitata. Se andiamo in quella direzione l’Italia è più attrezzata degli altri, con il suo esercito di partite Iva.
A questo punto resta l’interrogativo su quali banche investire. Per il giornale della City le meglio posizionate per dar soddisfazione all’investitore sono quelle americane, seguono le europee e in coda restano le asiatiche.
L’economia americana corre, la disoccupazione continua a scendere, l’inflazione è praticamente assente grazie anche al calo petrolio. Per quale diavolo di motivo, allora, la Fed dovrebbe iniziare ad alzare i tassi nel 2015? Perché rischiare di rovinare un mondo perfetto? Per farsi trovare pronta all’arrivo della prossima recessione.
È la risposta un po’ paradossale ma sostanzialmente corretta fornita su Yahoo Finance dal Senior Columnist Michael Santoli. Il ragionamento è il seguente: oggi i tassi sono a zero, ma prima o poi l’economia potrebbe rischiare di entrare in recessione, e la Fed si ritroverebbe le armi spuntate, salvo ripristinare il QE, che tuttavia darebbe ai mercati la sensazione di una grave crisi. Quindi meglio iniziare a alzarli un po’ e non farsi trovare senza munizioni quando sarà il momento. Un altro passo verso la normalità dopo sette anni di emergenza.
Sharing economy. On Demand. Le due cose vanno insieme. Il primo fenomeno, di cui Uber e AirBnB sono i campioni, sta dando vita a una miriade di startup, come l’americana Handy, che grazie ad apps che si scaricano su smartphone offre on demand la più svariata gamma di servizi e prestazioni: dalla lavanderia alle lezioni di pianoforte.
Ma, osserva in una lunga analisi l’Economist, se il modello dei free-lance, dei contractor indipendenti che si offrono su Internet diventa la regola, nascono problemi che definire epocali è riduttivo. Viviamo in un mondo costruito su grandi fabbriche e grandi organizzazioni, con regole e infrastrutture sociali, regolamentari ed economiche pensate per quel mondo, non per la sharing economy e per la produzione e distribuzione di beni servizi on demand. Il mondo nuovo somiglia più quello di un’operetta di fine Ottocento, che immagina un arcipelago polinesiano dove tutti gli abitanti vengono trasformati in limited, aziende a responsabilità limitata. Se andiamo in quella direzione l’Italia è più attrezzata degli altri, con il suo esercito di partite Iva.
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