Andrew Harmstone

Il brusco calo dei prezzi del greggio è un’arma a doppio taglio

4 Marzo 2015 14:10

financialounge -  Andrew Harmstone petrolio settore immobiliare
aesi produttori di energia che per molti anni hanno beneficiato degli straordinari utili generati dal petrolio rischiano che la situazione che li ha portati dalla povertà alla ricchezza possa invertirsi” è questo l’avvertimento che Andrew Harmstone, Managing Director Portfolio Manager Global Balanced Risk Controlled (GBaR) Strategy di Morgan Stanley Investment Management si sente di fare commentando la brusca correzione delle quotazioni del greggio.
Secondo Andrew, d’ora in avanti i prezzi del petrolio potrebbero essere stabiliti dalle forze di mercato, non dall’OPEC. A meno di un’impennata della domanda internazionale, è improbabile che nel breve periodo i prezzi del greggio risalgano al di sopra di 100 dollari al barile; secondo l’FMI, anche per i metodi produttivi a costo elevato, i costi marginali di produzione sono probabilmente pari o inferiori a 74 dollari al barile: le forze di mercato tenderanno quindi a contenere i prezzi al di sotto del livello del produttore con costo marginale superiore e di 100 dollari.
“È effettivamente probabile che si assista a un massiccio trasferimento di risorse provenienti dai produttori di energia. Per esempio, l’ultimo Aggiornamento del World Economic Outlook dell’FMI diffuso a gennaio, ha tagliato le previsioni di crescita nel 2015 per i principali paesi esportatori: Arabia Saudita (- 1,6%), Russia (- 3,5%) e Nigeria (- 2,5%). Il calo degli introiti generati dalle esportazioni di petrolio è un fattore significativo (anche se non l’unico) per il peggioramento delle prospettive di crescita di questi paesi” riferisce Andrew Harmstone per il quale le ripercussioni del calo dei prezzi del greggio non si limitano ai paesi produttori.
Il 6 febbraio 2015, la società di ricerca finanziaria FactSet ha sottolineato che, sulla base dei risultati del quarto trimestre del 2014, il settore energetico degli Stati Uniti aveva subito una contrazione degli utili anno su anno pari al 21,5%. Si tratta del maggior calo degli utili dei 10 settori che fanno parte dell’indice S&P 500 Composite. Con conseguenze infauste per la crescita economica, le principali società del settore hanno reagito al calo dei prezzi dell’energia tagliando gli investimenti. Nei prossimi tre anni, per esempio, Royal Dutch Shell intende ridurre di 15 miliardi di dollari USA il suo investimento. BP prevede che l’investimento del 2015 sia intorno a 20 miliardi di dollari USA, una cifra decisamente inferiore ai 24- 26 miliardi indicati in precedenza dalla compagnia.
Questi dati suggeriscono che una parte significativa della recente, brusca frenata dell’investimento nell’edilizia non residenziale degli USA nel quarto trimestre possa essere correlata ai tagli degli investimenti delle compagnie energetiche. A fine gennaio, sulla base della sua stima preliminare, il Bureau of Economic Analysis ha osservato che l’espansione dell’investimento fisso in edilizia non residenziale è passato nel 2014 dall’8,9% del terzo trimestre all’1,9% del quarto trimestre.
“In sintesi, la netta contrazione dei prezzi del greggio è un’arma a doppio taglio. È probabile che generi notevoli vantaggi per i privati e i paesi consumatori di energia ma non per l’insieme dell’economia globale. Nel suo aggiornamento di gennaio, l’FMI è giunto alla conclusione che, se la crescita globale «riceverà un impulso dal calo dei prezzi del petrolio», si «prevede che sia più che compensata da fattori negativi, quali la debolezza degli investimenti», a causa del ridimensionamento delle aspettative” spiega Andrew Harmstone.
L’aggiornamento dell’FMI ammette tuttavia che esiste un "upside risk" delle sue proiezioni nella misura in cui "l’impulso fornito dal calo dei prezzi del petrolio" potrebbe essere superiore al previsto.
“Gli investitori che vivono con ottimismo il potenziale impatto positivo dei prezzi del petrolio potrebbero voler sovrapesare le regioni che consumano più energia, come l’Eurozona e il Giappone, i quali, oltre a essere importanti consumatori di energia, dovrebbero anche beneficiare del netto miglioramento delle condizioni commerciali e di una politica monetaria estremamente stimolante. Gli USA, pur essendo un grande consumatore di energia, sono meno attraenti da questo punto di vista perché sono anche un importante produttore con un vasto settore energetico. La politica monetaria USA potrebbe inoltre diventare presto meno espansiva” conclude Andrew Harmstone.

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