economia
International Editor's Picks - 09 marzo 2015
9 Marzo 2015 09:55
feta di sventure ad annunciatore di possibili scenari positivi: “gli Stati Uniti sono in crescita robusta, la Cina deve prepararsi a un atterraggio accidentato, ma non a un crash, il calo del prezzo del petrolio fa bene all’economia globale, e le possibilità di Grexit sono remote”. Parole di Nouriel Roubini, che si è costruito una fama e una carriera di conferenziere milionario per aver previsto la crisi dei subprime. Parlando alla Middle East Investment Conference in Kuwait City organizzata dal Chartered Financial Analyst Institute, senza l’aiuto di slides, Roubini ha detto che tra i quattro motori dell’economia mondiale – USA, Europa, Giappone e Cina — solo il primo va a pieni giri e continuerà a farlo, nonostante il dollaro forte e la debole domanda globale. L’Eurozona è in difficoltà con il rischio di tornare in recessione se arriva un nuovo shock ma l’ipotesi di uscita della Grecia sono remote. Il destino dell’economia globale, dice Roubini secondo quanto riporta il sito del FCA, è nelle mani della Fed, che a sua volta ha di fronte un dilemma: se alza i tassi troppo tardi, scatenerà la madre di tutte le bolle, destinata a esplodere nel 2017, se lo fa troppo presto, potrebbe causare un atterraggio molto duro per l’economia mondiale.
Quasi mezzo trilione di dollari, 490 miliardi per l’esattezza. È il totale delle perdite che le 31 principali banche USA soffrirebbero in caso di una nuova crisi estrema e che riuscirebbero a sostenere senza fallire grazie a requisiti di capitale giudicati adeguati dalla Fed. Lo riferisce il NY Times dopo che il governatore Daniel K. Tarullo, l’equivalente della Danièle Nouy della BCE, ha comunicato alle banche i risultati degli stress test del 2015. Questa volta ce l’hanno fatta tutte, mentre nel 2014 Citi aveva fallito. A differenza di quelli di Francoforte, i test americani includono anche la misura della leva. Ora la Fed deve dire alle banche se i dividendi che hanno in programma di distribuire sono compatibili con i livelli di capitalizzazione e forse qualcuno dovrà fare un sacrificio. Ma, proprio dalla Fed, potrebbe presto arrivare anche una buona notizia per i colossi del credito: il rialzo dei tassi. Il costo del denaro è per le banche l’equivalente del prezzo del barile per le compagnie petrolifere. Se sono riuscite a passare il check up con i tassi a zero un piccolo rialzo può solo migliorare lo stato di salute.
Di questi tempi trovare qualcuno che sia rialzista sul petrolio è un’impresa, non c’è trader che non sia negative. Ma proprio per questo, il sito Talking Numbers sostiene che i prezzi hanno toccato il fondo e che ci si può aspettare un rimbalzo robusto già quest’estate. L’opinione è supportata proprio da un trader, Andrew Burkly di Oppenheimer & Co, secondo cui il fondo è stato toccato a gennaio con il WTI a 44,45 dollari: “man mano che la domanda recupera, specialmente in Europa dove si vedono segni di ripresa, anche l’offerta dovrebbe adeguarsi. Non sarà una corsa al rialzo, ma la gran parte delle cattive notizie è stata ormai prezzata”. Anche l’analisi tecnica punta nella stessa direzione secondo Mark Newtond di Greywolf Executions. Newton vede una rottura al rialzo del range 44/55 dollari visto dall’inizio dell’anno. La rottura dei 55 dollari dovrebbe aprire la strada verso i 65 dollari. Secondo Newton il petrolio oggi è molto più oversold rispetto a fine 2008-inizio 2009, quando precipitò da 160$ toccato in estate all’area dei 30$ dopo il crac Lehman. Newton dice che bisogna mettere uno stop a 44$, accumulare a 55$ e aspettare un bel premio estivo.
Quasi mezzo trilione di dollari, 490 miliardi per l’esattezza. È il totale delle perdite che le 31 principali banche USA soffrirebbero in caso di una nuova crisi estrema e che riuscirebbero a sostenere senza fallire grazie a requisiti di capitale giudicati adeguati dalla Fed. Lo riferisce il NY Times dopo che il governatore Daniel K. Tarullo, l’equivalente della Danièle Nouy della BCE, ha comunicato alle banche i risultati degli stress test del 2015. Questa volta ce l’hanno fatta tutte, mentre nel 2014 Citi aveva fallito. A differenza di quelli di Francoforte, i test americani includono anche la misura della leva. Ora la Fed deve dire alle banche se i dividendi che hanno in programma di distribuire sono compatibili con i livelli di capitalizzazione e forse qualcuno dovrà fare un sacrificio. Ma, proprio dalla Fed, potrebbe presto arrivare anche una buona notizia per i colossi del credito: il rialzo dei tassi. Il costo del denaro è per le banche l’equivalente del prezzo del barile per le compagnie petrolifere. Se sono riuscite a passare il check up con i tassi a zero un piccolo rialzo può solo migliorare lo stato di salute.
Di questi tempi trovare qualcuno che sia rialzista sul petrolio è un’impresa, non c’è trader che non sia negative. Ma proprio per questo, il sito Talking Numbers sostiene che i prezzi hanno toccato il fondo e che ci si può aspettare un rimbalzo robusto già quest’estate. L’opinione è supportata proprio da un trader, Andrew Burkly di Oppenheimer & Co, secondo cui il fondo è stato toccato a gennaio con il WTI a 44,45 dollari: “man mano che la domanda recupera, specialmente in Europa dove si vedono segni di ripresa, anche l’offerta dovrebbe adeguarsi. Non sarà una corsa al rialzo, ma la gran parte delle cattive notizie è stata ormai prezzata”. Anche l’analisi tecnica punta nella stessa direzione secondo Mark Newtond di Greywolf Executions. Newton vede una rottura al rialzo del range 44/55 dollari visto dall’inizio dell’anno. La rottura dei 55 dollari dovrebbe aprire la strada verso i 65 dollari. Secondo Newton il petrolio oggi è molto più oversold rispetto a fine 2008-inizio 2009, quando precipitò da 160$ toccato in estate all’area dei 30$ dopo il crac Lehman. Newton dice che bisogna mettere uno stop a 44$, accumulare a 55$ e aspettare un bel premio estivo.
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