Christophe Bernard
Meno dollari e più asset class rischiose
2 Aprile 2015 10:30
complesso, restiamo generalmente positivi nei confronti dei titoli rischiosi perché le politiche monetarie rimangono espansive e la crescita mondiale si sta stabilizzando grazie alle migliori prospettive economiche dell’eurozona. Abbiamo ridotto la nostra esposizione nel dollaro USA nella convinzione che, dopo il notevole apprezzamento, il rapporto rischio-rendimento sia diventato leggermente meno interessante, ma manteniamo comunque un sovrappeso” rivela Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel, che subito dopo però precisa: “Ci rendiamo ben conto che le iniezioni di liquidità delle banche centrali stanno spingendo le valutazioni di mercato su livelli elevati in tutte le asset class. Ciò significa che dobbiamo scegliere attentamente i mercati e i titoli in cui investiamo e restare vigili per individuare per tempo eventuali punti di inflessione”.
Per Christophe Bernard, inoltre, il mercato azionario cinese ha ancora un potenziale nonostante le grandi sfide che la seconda economia mondiale deve affrontare. “Nel marzo 2015, i vertici del Partito Comunista cinese hanno reiterato la loro volontà di riformare l’economia, pur ammettendo che non sarà facile raggiungere l’obiettivo di una crescita del PIL cinese del 7 per cento nel 2015. In realtà si tratta di una sfida notevole, perché i provvedimenti destinati a eliminare gli squilibri economici provocano di solito lo scoppio di bolle immobiliari, recessione, un grave deterioramento dei prestiti bancari e una netta contrazione degli utili del settore industriale” argomenta Christophe Bernard per il quale tali impatti non sono accettabili per l’élite politica cinese perché potrebbero infrangere il patto sociale e potenzialmente minare il potere del partito.
Grazie alle enormi riserve di capitale della Cina e un governo centrale relativamente poco indebitato, la leadership di Pechino è tuttavia in grado di influenzare gli investimenti infrastrutturali nella misura che ritiene opportuna, senza pregiudicare il bilancio dello Stato. La forza del renminbi e il crollo dei prezzi delle materie prime spingono al ribasso l’inflazione. Ciò potrebbe condurre a un ulteriore allentamento della politica monetaria, che è già accomodante e sostiene il mercato azionario locale in un periodo in cui le famiglie trasferiscono i loro risparmi dalla liquidità e dall’immobiliare verso le azioni.
“Di conseguenza, le azioni locali (le cosiddette azioni A quotate alla borsa di Shanghai) hanno messo a segno enormi rialzi dall’estate scorsa, mentre le azioni H (azioni cinesi quotate a Hong Kong, MSCI China) sono ora quotate a notevoli sconti. Noi manteniamo il nostro sovrappeso nelle azioni cinesi perché hanno una valutazione allettante e continuano a beneficiare dell’abbondante liquidità” specifica Christophe Bernard che, al contempo, ammette la presenza di un vento avverso che soffia dal versante demografico: il cosiddetto indice di dipendenza, che denota la percentuale della popolazione non attiva rispetto a quella attiva, è in aumento e mette così in risalto i problemi legati all’invecchiamento della società. Allo stesso tempo diminuiscono i vantaggi economici della rapida urbanizzazione.
A differenza della Cina, gli altri mercati finanziari locali mostrano, per Christophe Bernard, una dipendenza più logica rispetto alle mosse delle banche centrali di riferimento. I rendimenti dei titoli di Stato di molti paesi, in particolare della Germania, sono scivolati in gran parte in territorio negativo a seguito dei massicci acquisti mensili da parte della BCE che ha attivato il suo piano di QE (Quantitative Easing). Tuttavia, la curva dei rendimenti USA non può sganciarsi da quella dei Bund tedeschi nonostante i migliori fondamentali economici degli Stati Uniti: c’è infatti un limite fisico allo spread tra gli US-Treasury decennali e i Bund tedeschi.
Il necessario aggiustamento avviene tramite il dollaro USA, che sta subendo forti pressioni al rialzo. Ne consegue un indebolimento delle esportazioni americane, che frena la crescita economica americana, mentre l’inflazione rimane modesta. Nel frattempo la Federal Reserve ha rimosso la spada di Damocle che incombeva sui mercati finanziari, mitigando le attese di un imminente restringimento della sua politica monetaria: la banca centrale americana ha pubblicato le previsioni dei suoi membri sui tassi di interesse (i cosiddetti «dots»), che indicano un ritmo modesto nelle future manovre monetarie restrittive.
Per Christophe Bernard, inoltre, il mercato azionario cinese ha ancora un potenziale nonostante le grandi sfide che la seconda economia mondiale deve affrontare. “Nel marzo 2015, i vertici del Partito Comunista cinese hanno reiterato la loro volontà di riformare l’economia, pur ammettendo che non sarà facile raggiungere l’obiettivo di una crescita del PIL cinese del 7 per cento nel 2015. In realtà si tratta di una sfida notevole, perché i provvedimenti destinati a eliminare gli squilibri economici provocano di solito lo scoppio di bolle immobiliari, recessione, un grave deterioramento dei prestiti bancari e una netta contrazione degli utili del settore industriale” argomenta Christophe Bernard per il quale tali impatti non sono accettabili per l’élite politica cinese perché potrebbero infrangere il patto sociale e potenzialmente minare il potere del partito.
Grazie alle enormi riserve di capitale della Cina e un governo centrale relativamente poco indebitato, la leadership di Pechino è tuttavia in grado di influenzare gli investimenti infrastrutturali nella misura che ritiene opportuna, senza pregiudicare il bilancio dello Stato. La forza del renminbi e il crollo dei prezzi delle materie prime spingono al ribasso l’inflazione. Ciò potrebbe condurre a un ulteriore allentamento della politica monetaria, che è già accomodante e sostiene il mercato azionario locale in un periodo in cui le famiglie trasferiscono i loro risparmi dalla liquidità e dall’immobiliare verso le azioni.
“Di conseguenza, le azioni locali (le cosiddette azioni A quotate alla borsa di Shanghai) hanno messo a segno enormi rialzi dall’estate scorsa, mentre le azioni H (azioni cinesi quotate a Hong Kong, MSCI China) sono ora quotate a notevoli sconti. Noi manteniamo il nostro sovrappeso nelle azioni cinesi perché hanno una valutazione allettante e continuano a beneficiare dell’abbondante liquidità” specifica Christophe Bernard che, al contempo, ammette la presenza di un vento avverso che soffia dal versante demografico: il cosiddetto indice di dipendenza, che denota la percentuale della popolazione non attiva rispetto a quella attiva, è in aumento e mette così in risalto i problemi legati all’invecchiamento della società. Allo stesso tempo diminuiscono i vantaggi economici della rapida urbanizzazione.
A differenza della Cina, gli altri mercati finanziari locali mostrano, per Christophe Bernard, una dipendenza più logica rispetto alle mosse delle banche centrali di riferimento. I rendimenti dei titoli di Stato di molti paesi, in particolare della Germania, sono scivolati in gran parte in territorio negativo a seguito dei massicci acquisti mensili da parte della BCE che ha attivato il suo piano di QE (Quantitative Easing). Tuttavia, la curva dei rendimenti USA non può sganciarsi da quella dei Bund tedeschi nonostante i migliori fondamentali economici degli Stati Uniti: c’è infatti un limite fisico allo spread tra gli US-Treasury decennali e i Bund tedeschi.
Il necessario aggiustamento avviene tramite il dollaro USA, che sta subendo forti pressioni al rialzo. Ne consegue un indebolimento delle esportazioni americane, che frena la crescita economica americana, mentre l’inflazione rimane modesta. Nel frattempo la Federal Reserve ha rimosso la spada di Damocle che incombeva sui mercati finanziari, mitigando le attese di un imminente restringimento della sua politica monetaria: la banca centrale americana ha pubblicato le previsioni dei suoi membri sui tassi di interesse (i cosiddetti «dots»), che indicano un ritmo modesto nelle future manovre monetarie restrittive.