Borsa di Francoforte
Perché la Borsa di Francoforte non è cara
2 Aprile 2015 10:00
dice Dax di Francoforte è in rialzo di oltre 20 punti percentuali da inizio anno ed ha fissato nuovi record storici. Una tendenza che ha fatto aumentare le preoccupazioni sulla sua possibile sopravvalutazione: il timore di un prossimo crollo è davvero giustificato?
Senza dubbio, negli ultimi anni, si è verificato un deciso incremento nell’entità delle valutazioni. In termini assoluti, di fronte a un rapporto storico prezzo/utile (p/e) pari a circa 20 per il DAX non si può dire che il mercato sia conveniente. D’altro canto, sul mercato obbligazionario le valutazioni sono ancora più costose e gli esigui rendimenti conseguibili ovunque non impediscono di prestare denaro all’1 % per dieci anni a paesi come il Portogallo o l’Irlanda che fino a poco tempo fa erano sull’orlo della bancarotta. Detto questo, siamo dunque di fronte a un mercato che sembra prossimo allo scoppio di una bolla speculativa?
“Non sono solo queste osservazioni a deporre piuttosto a sfavore di una fine imminente del mercato al rialzo. Se si prescinde dall’osservazione della sola valutazione assoluta del mercato azionario e si mette a confronto tale valutazione con quella di altre alternative d’investimento disponibili, si vedrà che le azioni sono tutt’altro che esageratamente sopravvalutate. Questo dato di fatto può essere facilmente dimostrato prendendo in esame i premi al rischio azionario impliciti” fanno sapere gli esperti di ETHENEA.
In primis, però, è necessario chiarire il concetto di premio al rischio azionario. Poiché gli azionisti sono esposti a un rischio maggiore rispetto a quello affrontato dagli obbligazionisti, rischio che può comportare anche la perdita totale del capitale investito, è giusto che pretendano per l’investimento in un’azione un rendimento superiore. La differenza tra il tasso privo di rischio e il rendimento conseguibile su un’azione va sotto il nome di premio al rischio azionario.
Se, per esempio. il tasso privo di rischio è pari al 5%, il premio al rischio azionario implicito per un’impresa con un Return on Equity (ROE) del 10 % e le cui azioni siano negoziate ad un rapporto prezzo/valore contabile di 1, sarà del 5%. Ne consegue che gli investitori possono contare di ottenere nel lungo termine da un investimento in tale impresa un rendimento ben maggiore di quello che avrebbero conseguito acquistando semplicemente titoli di Stato presumibilmente privi di rischio.Se la valutazione sale, a parità di altri fattori scende il premio al rischio, e viceversa. Si tratta di una grandezza residuale derivante dall’interazione fra redditività dell’impresa, tasso d’interesse e valutazione di mercato e che rappresenta un buon indicatore della propensione al rischio dell’investitore.
La media storica a lungo termine del premio al rischio azionario era pari al 4 % circa. Al punto massimo del Nuovo Mercato alla fine degli anni ’90, il DAX presentava ad esempio un rapporto prezzo/utile di circa 40, mentre i Bund decennali, con un rendimento del 5 % circa e un rapporto prezzo/utile di 20 (frutto del valore nominale 100% diviso per il rendimento pari al 5%) costituivano un vero affare.
“Oggi, tuttavia, perfino dopo sei anni di mercato al rialzo, le azioni restano ancora decisamente più convenienti rispetto alle obbligazioni. All’attuale livello del DAX, il premio al rischio azionario implicito, pari a ben il 4,5 %, è tuttora superiore alla media storica. Dopo che la BCE è effettivamente riuscita, annunciando il suo programma di QE, a spingere in territorio negativo i rendimenti di quasi un terzo del volume di titoli di Stato privi di rischio in circolazione, non vi sono più dubbi che almeno una parte del denaro fresco alla disperata ricerca di rendimenti si dirigerà verso il mercato azionario. Ciononostante appare tutt’altro che speculativo acquistare titoli Blue Chip con un dividend yield dal 4 al 5 per cento abbastanza sicuro e con la prospettiva di una crescita futura” spiegano i professioni di ETHENEA per i quali, se al contrario aumenterà la spinta agli investimenti artificiosamente creata, il premio al rischio azionario scenderà inevitabilmente.
“È possibile azzardare un esperimento mentale, ipotizzando che i tassi restino fermi ai minimi nel prossimo futuro e che la redditività delle imprese resti stabile in una certa misura. Si può allora facilmente stimare i possibili livelli del DAX a fronte dei diversi premi al rischio azionario impliciti. Se il premio al rischio azionario dovesse scendere anche solo al livello medio storico del 4 % circa, il DAX si collocherebbe già a oltre 13.500 punti: questo scenario potrebbe tranquillamente concretizzarsi nel corso di quest’anno. Uno sguardo oltre Atlantico consente di comprendere cosa succederebbe in seguito. Negli USA, dopo anni di QE, il premio al rischio azionario si è contratto al 3 % circa. Non è quindi inverosimile pensare che il DAX a un certo momento si accodi e che nel 2016 l’indice raggiunga livelli di oltre 17.000 punti” rivelano gli specialisti di ETHENEA.
Benchè si tratti di un esercizio teorico (sebbene basato su dati effettivi relativi al mercato corrente e all’esperienza empirica vista a Wall Street) la conclusione è che non sembra esserci, almeno per il momento, evidenza di un mercato azionario tedesco sopravvalutato, almeno rispetto a quello obbligazionario.
Senza dubbio, negli ultimi anni, si è verificato un deciso incremento nell’entità delle valutazioni. In termini assoluti, di fronte a un rapporto storico prezzo/utile (p/e) pari a circa 20 per il DAX non si può dire che il mercato sia conveniente. D’altro canto, sul mercato obbligazionario le valutazioni sono ancora più costose e gli esigui rendimenti conseguibili ovunque non impediscono di prestare denaro all’1 % per dieci anni a paesi come il Portogallo o l’Irlanda che fino a poco tempo fa erano sull’orlo della bancarotta. Detto questo, siamo dunque di fronte a un mercato che sembra prossimo allo scoppio di una bolla speculativa?
“Non sono solo queste osservazioni a deporre piuttosto a sfavore di una fine imminente del mercato al rialzo. Se si prescinde dall’osservazione della sola valutazione assoluta del mercato azionario e si mette a confronto tale valutazione con quella di altre alternative d’investimento disponibili, si vedrà che le azioni sono tutt’altro che esageratamente sopravvalutate. Questo dato di fatto può essere facilmente dimostrato prendendo in esame i premi al rischio azionario impliciti” fanno sapere gli esperti di ETHENEA.
In primis, però, è necessario chiarire il concetto di premio al rischio azionario. Poiché gli azionisti sono esposti a un rischio maggiore rispetto a quello affrontato dagli obbligazionisti, rischio che può comportare anche la perdita totale del capitale investito, è giusto che pretendano per l’investimento in un’azione un rendimento superiore. La differenza tra il tasso privo di rischio e il rendimento conseguibile su un’azione va sotto il nome di premio al rischio azionario.
Se, per esempio. il tasso privo di rischio è pari al 5%, il premio al rischio azionario implicito per un’impresa con un Return on Equity (ROE) del 10 % e le cui azioni siano negoziate ad un rapporto prezzo/valore contabile di 1, sarà del 5%. Ne consegue che gli investitori possono contare di ottenere nel lungo termine da un investimento in tale impresa un rendimento ben maggiore di quello che avrebbero conseguito acquistando semplicemente titoli di Stato presumibilmente privi di rischio.Se la valutazione sale, a parità di altri fattori scende il premio al rischio, e viceversa. Si tratta di una grandezza residuale derivante dall’interazione fra redditività dell’impresa, tasso d’interesse e valutazione di mercato e che rappresenta un buon indicatore della propensione al rischio dell’investitore.
La media storica a lungo termine del premio al rischio azionario era pari al 4 % circa. Al punto massimo del Nuovo Mercato alla fine degli anni ’90, il DAX presentava ad esempio un rapporto prezzo/utile di circa 40, mentre i Bund decennali, con un rendimento del 5 % circa e un rapporto prezzo/utile di 20 (frutto del valore nominale 100% diviso per il rendimento pari al 5%) costituivano un vero affare.
“Oggi, tuttavia, perfino dopo sei anni di mercato al rialzo, le azioni restano ancora decisamente più convenienti rispetto alle obbligazioni. All’attuale livello del DAX, il premio al rischio azionario implicito, pari a ben il 4,5 %, è tuttora superiore alla media storica. Dopo che la BCE è effettivamente riuscita, annunciando il suo programma di QE, a spingere in territorio negativo i rendimenti di quasi un terzo del volume di titoli di Stato privi di rischio in circolazione, non vi sono più dubbi che almeno una parte del denaro fresco alla disperata ricerca di rendimenti si dirigerà verso il mercato azionario. Ciononostante appare tutt’altro che speculativo acquistare titoli Blue Chip con un dividend yield dal 4 al 5 per cento abbastanza sicuro e con la prospettiva di una crescita futura” spiegano i professioni di ETHENEA per i quali, se al contrario aumenterà la spinta agli investimenti artificiosamente creata, il premio al rischio azionario scenderà inevitabilmente.
“È possibile azzardare un esperimento mentale, ipotizzando che i tassi restino fermi ai minimi nel prossimo futuro e che la redditività delle imprese resti stabile in una certa misura. Si può allora facilmente stimare i possibili livelli del DAX a fronte dei diversi premi al rischio azionario impliciti. Se il premio al rischio azionario dovesse scendere anche solo al livello medio storico del 4 % circa, il DAX si collocherebbe già a oltre 13.500 punti: questo scenario potrebbe tranquillamente concretizzarsi nel corso di quest’anno. Uno sguardo oltre Atlantico consente di comprendere cosa succederebbe in seguito. Negli USA, dopo anni di QE, il premio al rischio azionario si è contratto al 3 % circa. Non è quindi inverosimile pensare che il DAX a un certo momento si accodi e che nel 2016 l’indice raggiunga livelli di oltre 17.000 punti” rivelano gli specialisti di ETHENEA.
Benchè si tratti di un esercizio teorico (sebbene basato su dati effettivi relativi al mercato corrente e all’esperienza empirica vista a Wall Street) la conclusione è che non sembra esserci, almeno per il momento, evidenza di un mercato azionario tedesco sopravvalutato, almeno rispetto a quello obbligazionario.