dollaro
Il dilemma che imprigiona la Federal Reserve
7 Aprile 2015 09:47
i, con i tassi a zero, i rischi non sono percepiti ma sono molto maggiori di quanto si possa credere” avverte Maurizio Novelli, Global Strategist di Zest Asset Management, che poi aggiunge: “Continuo a ritenere che il maggior pericolo per i mercati finanziari possa arrivare più per una mancata ripresa dell'economia e da un rischio deflattivo che da un rialzo dei tassi. Al momento tutto quanto sta accadendo sembra confermare tale scenario. L'economia mondiale rallenta, l'inflazione scende ovunque, tutti cercano di svalutare per appropriarsi della debole domanda internazionale, il debito rimane ai massimi livelli storici. I consumatori americani non sono più disposti ad indebitarsi come in passato per sostenere la domanda globale, i cinesi rallentano, l'Europa è in un pantano e le economie emergenti soffrono dei problemi di USA, Europa e Cina. Non vedo nessuno dei protagonisti in grado di fornire domanda globale in modo significativo nel breve termine”. Inoltre, fa sapere lo strategist, il biglietto verde ha concluso un rafforzamento eccessivo che sta già procurando danni all'economia USA e alle politiche reflattive della Fed.
“Non credo che la banca centrale americana sia però nella condizione di uscire dalla pressione rialzista indotta da BCE e BOJ perché le svalutazioni competitive rimarranno l'unico strumento di contrasto al rallentamento dell'economia. Credo comunque che BCE e BOJ si siano accorte del danno prodotto dalla rivalutazione del dollaro. La sua forza infatti non si è trasformata in maggiori importazioni USA, ha procurato un calo delle commodities accentuando i problemi deflattivi ed ha esercitato una politica restrittiva nei confronti di tutti coloro che sono indebitati in dollari USD (cioè i mercati emergenti). I danni sono per ora maggiori dei benefici perché chi ha svalutato non ha beneficiato in alcun modo di una maggiore domanda proveniente da chi, nel frattempo, rivalutava (USA). Mi aspetto quindi un periodo di consolidamento per il dollaro con il rischio che, un eventuale ulteriore rafforzamento, prezzerebbe eventi politici nell'area Euro che sarebbero connessi alla Grecia e porterebbero ad un generale ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico internazionale” puntualizza Maurizio Novelli che, in termini di asset allocation rimane piuttosto negativo sulle prospettive del mercato azionario di USA e Canada, con tutte le implicazioni che tale view può avere anche su altri mercati.
“Credo che l'indice S&P500 sia chiuso in una morsa letale di tassi più alti o crescita economica più debole mentre i profitti delle aziende USA sono già ora in evidente contrazione. La diminuzione dei profitti per ora arriva dal dollaro forte (che sconta tassi più alti) ma potrebbe anche accentuarsi per un economia più debole delle attese. In ogni caso sembrerebbe che la Corporate America stia prezzando multipli insostenibili. In questo contesto Eurostoxx e Nikkei alimentano un rialzo basato su aspettative di ripresa economica tutte da verificare e sull'intervento di BCE e BOJ ma non sarebbero comunque immuni da un ribasso di Wall Street” spiega Maurizio Novelli per il quale le obbligazioni non sono da vendere mentre il dollaro non è più da comprare.
Per quanto riguarda le divise alternative all'Euro lo strategist preferisce essere long (rialzista) di yen (JPY) e dollari australiani (AUD). “L'oro continua ad essere esposto alle alterne aspettative legate alle decisioni della FED, ma se la mia analisi macroeconomica si conferma corretta, potrebbe essere l'unica asset class da comprare in ottica strategica per scenari d'incertezza futura molto probabili” rivela Maurizio Novelli. L'economia e l'instabilità geopolitica non sembrano dipingere un mondo così stabile e sicuro e le politiche monetarie hanno esaurito da tempo gli effetti.
“A questo punto, qualsiasi ulteriore rialzo delle borse basato solo sulle politiche monetarie senza crescita economica non farebbe che alimentare la bolla speculativa più pericolosa degli ultimi anni. La mia sensazione è che se la FED guardasse solo all'economia non avrebbe alcun motivo per alzare i tassi ma guardando ai rischi che si stanno creando sui mercati finanziari avrebbe più di un motivo per alzarli” commenta Maurizio Novelli il cui riferimento è al 1928 e la situazione in cui si trovava il Governatore della Fed Benjamin Strong e, cioè, lo stesso dilemma attuale che imprigiona la Federal Reserve: l'economia USA rallentava e non c'era un motivo per alzare i tassi ma l'esuberanza dei mercati era diventata un problema anche per la politica monetaria.
“Si attese quasi un anno prima di decidere un aumento dei tassi ma nel frattempo la bolla speculativa aveva raggiunto dimensioni ingestibili perché il contesto macroeconomico poteva reggere solo con asset finanziari in continuo rialzo. Quando l'economia reale dipende troppo dalla finanza i rischi sistemici aumentano in modo esponenziale perché i mercati «non possono scendere», e se lo fanno, travolgono il ciclo economico. Le crisi del 2002 e del 2007 evidenziano il classico contesto dove l'economia reale non regge al negativo impatto proveniente dalle variabili finanziarie” ammonisce Maurizio Novelli.
“Non credo che la banca centrale americana sia però nella condizione di uscire dalla pressione rialzista indotta da BCE e BOJ perché le svalutazioni competitive rimarranno l'unico strumento di contrasto al rallentamento dell'economia. Credo comunque che BCE e BOJ si siano accorte del danno prodotto dalla rivalutazione del dollaro. La sua forza infatti non si è trasformata in maggiori importazioni USA, ha procurato un calo delle commodities accentuando i problemi deflattivi ed ha esercitato una politica restrittiva nei confronti di tutti coloro che sono indebitati in dollari USD (cioè i mercati emergenti). I danni sono per ora maggiori dei benefici perché chi ha svalutato non ha beneficiato in alcun modo di una maggiore domanda proveniente da chi, nel frattempo, rivalutava (USA). Mi aspetto quindi un periodo di consolidamento per il dollaro con il rischio che, un eventuale ulteriore rafforzamento, prezzerebbe eventi politici nell'area Euro che sarebbero connessi alla Grecia e porterebbero ad un generale ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico internazionale” puntualizza Maurizio Novelli che, in termini di asset allocation rimane piuttosto negativo sulle prospettive del mercato azionario di USA e Canada, con tutte le implicazioni che tale view può avere anche su altri mercati.
“Credo che l'indice S&P500 sia chiuso in una morsa letale di tassi più alti o crescita economica più debole mentre i profitti delle aziende USA sono già ora in evidente contrazione. La diminuzione dei profitti per ora arriva dal dollaro forte (che sconta tassi più alti) ma potrebbe anche accentuarsi per un economia più debole delle attese. In ogni caso sembrerebbe che la Corporate America stia prezzando multipli insostenibili. In questo contesto Eurostoxx e Nikkei alimentano un rialzo basato su aspettative di ripresa economica tutte da verificare e sull'intervento di BCE e BOJ ma non sarebbero comunque immuni da un ribasso di Wall Street” spiega Maurizio Novelli per il quale le obbligazioni non sono da vendere mentre il dollaro non è più da comprare.
Per quanto riguarda le divise alternative all'Euro lo strategist preferisce essere long (rialzista) di yen (JPY) e dollari australiani (AUD). “L'oro continua ad essere esposto alle alterne aspettative legate alle decisioni della FED, ma se la mia analisi macroeconomica si conferma corretta, potrebbe essere l'unica asset class da comprare in ottica strategica per scenari d'incertezza futura molto probabili” rivela Maurizio Novelli. L'economia e l'instabilità geopolitica non sembrano dipingere un mondo così stabile e sicuro e le politiche monetarie hanno esaurito da tempo gli effetti.
“A questo punto, qualsiasi ulteriore rialzo delle borse basato solo sulle politiche monetarie senza crescita economica non farebbe che alimentare la bolla speculativa più pericolosa degli ultimi anni. La mia sensazione è che se la FED guardasse solo all'economia non avrebbe alcun motivo per alzare i tassi ma guardando ai rischi che si stanno creando sui mercati finanziari avrebbe più di un motivo per alzarli” commenta Maurizio Novelli il cui riferimento è al 1928 e la situazione in cui si trovava il Governatore della Fed Benjamin Strong e, cioè, lo stesso dilemma attuale che imprigiona la Federal Reserve: l'economia USA rallentava e non c'era un motivo per alzare i tassi ma l'esuberanza dei mercati era diventata un problema anche per la politica monetaria.
“Si attese quasi un anno prima di decidere un aumento dei tassi ma nel frattempo la bolla speculativa aveva raggiunto dimensioni ingestibili perché il contesto macroeconomico poteva reggere solo con asset finanziari in continuo rialzo. Quando l'economia reale dipende troppo dalla finanza i rischi sistemici aumentano in modo esponenziale perché i mercati «non possono scendere», e se lo fanno, travolgono il ciclo economico. Le crisi del 2002 e del 2007 evidenziano il classico contesto dove l'economia reale non regge al negativo impatto proveniente dalle variabili finanziarie” ammonisce Maurizio Novelli.
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