Nevine Pollini
Oro, il crollo del greggio ha ridotto i costi di produzione
16 Aprile 2015 10:05
momento l’oro continua a non essere appetibile: il dollaro ha un supporto forte e l’inflazione globale è bassa. Gli investitori non sono quindi incentivati a comprare il metallo giallo come copertura dall’aumento dei prezzi. Inoltre, una rinnovata propensione al rischio ha spinto il rally dell’azionario vicino ai massimi di sempre” commenta Nevine Pollini, Senior Analyst Commodities di Union Bancaire Privée (UBP) che, inoltre, non crede che il programma di quantitive easing della BCE, avviato il 9 marzo, aiuterà l’oro, come neanche l’inaspettato taglio dei tassi da parte della Reserve Bank of India il 4 marzo. “La nostra posizione sull’oro è perciò ancora prudente, e crediamo che i prezzi resteranno tra i 1.100 e i 1.300 dollari l’oncia nel 2015, a condizione che le tensioni geopolitiche non peggiorino ulteriormente” tiene a precisare Nevine Pollini.
La strategist, pur ricordando come l’oro abbia registrato una fase rialzista lunga tre settimane a seguito dell’incontro del FOMC della Federal Reserve del 17-18 marzo, che ha ridotto le aspettative di un rialzo dei tassi in primavera, sottolinea che il principale fattore di supporto è stato costituito dai deludenti dati macroeconomici americani, per esempio l’ISM non-manifatturiero e i payroll non agricoli, che minacciano di far ritardare i piani della Fed sul rialzo dei tassi e hanno causato una massiccia copertura delle posizioni short, che per l’oro erano su livelli record. Certo hanno inciso, momentaneamente, anche il riemergere delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente (in particolare in Yemen) e dalla costante incertezza sulla capacità della Grecia di onorare i propri debiti (la prossima scadenza è a inizio luglio) ma, in tutti i casi, l’euforia sull’oro ha avuto vita breve.
“Mentre scriviamo, il dollaro è risalito e i prezzi dell’oro fanno fatica a stare sopra i 1.200 dollari, soglia fisiologica e tecnica dopo la pubblicazione dei verbali dell’incontro del FOMC. La relazione ha rivelato che i funzionari sono divisi su quando aumentare effettivamente i tassi facendo tuttavia procrastinare le previsioni: secondo i future sui tassi Fed, le aspettative di un aumento dei tassi in giugno si attestano al 18%, scese rispetto al 40% di inizio anno” rivela Nevine Pollini che poi conclude puntualizzando un altro aspetto finora passato sotto traccia: “A pesare sui prezzi del metallo giallo è il fatto che il costo di produzione onnicomprensivo, che tende a dare sostegno alle quotazioni, è ora sceso a 1.050 dollari dai circa 1.180-1.200 del 2014, in quanto l’abbassamento dei prezzi dell’energia ha ridotto i costi di produzione dell’oro. Il supporto della curva dei costi è quindi più basso ora. Ultimamente sui giornali si son letti numerosissimi articoli su come i produttori di oro abbiano tagliato le spese per capitale di circa il 50% in media da inizio 2013 e su come una contrazione dell’offerta alla fine aiuterà a far crescere le quotazioni. Crediamo che ciò possa essere vero, ma riteniamo che questo possa solamente frenare un ulteriore calo dei prezzi e non darà effetti nel settore per almeno altri due-tre anni”.
La strategist, pur ricordando come l’oro abbia registrato una fase rialzista lunga tre settimane a seguito dell’incontro del FOMC della Federal Reserve del 17-18 marzo, che ha ridotto le aspettative di un rialzo dei tassi in primavera, sottolinea che il principale fattore di supporto è stato costituito dai deludenti dati macroeconomici americani, per esempio l’ISM non-manifatturiero e i payroll non agricoli, che minacciano di far ritardare i piani della Fed sul rialzo dei tassi e hanno causato una massiccia copertura delle posizioni short, che per l’oro erano su livelli record. Certo hanno inciso, momentaneamente, anche il riemergere delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente (in particolare in Yemen) e dalla costante incertezza sulla capacità della Grecia di onorare i propri debiti (la prossima scadenza è a inizio luglio) ma, in tutti i casi, l’euforia sull’oro ha avuto vita breve.
“Mentre scriviamo, il dollaro è risalito e i prezzi dell’oro fanno fatica a stare sopra i 1.200 dollari, soglia fisiologica e tecnica dopo la pubblicazione dei verbali dell’incontro del FOMC. La relazione ha rivelato che i funzionari sono divisi su quando aumentare effettivamente i tassi facendo tuttavia procrastinare le previsioni: secondo i future sui tassi Fed, le aspettative di un aumento dei tassi in giugno si attestano al 18%, scese rispetto al 40% di inizio anno” rivela Nevine Pollini che poi conclude puntualizzando un altro aspetto finora passato sotto traccia: “A pesare sui prezzi del metallo giallo è il fatto che il costo di produzione onnicomprensivo, che tende a dare sostegno alle quotazioni, è ora sceso a 1.050 dollari dai circa 1.180-1.200 del 2014, in quanto l’abbassamento dei prezzi dell’energia ha ridotto i costi di produzione dell’oro. Il supporto della curva dei costi è quindi più basso ora. Ultimamente sui giornali si son letti numerosissimi articoli su come i produttori di oro abbiano tagliato le spese per capitale di circa il 50% in media da inizio 2013 e su come una contrazione dell’offerta alla fine aiuterà a far crescere le quotazioni. Crediamo che ciò possa essere vero, ma riteniamo che questo possa solamente frenare un ulteriore calo dei prezzi e non darà effetti nel settore per almeno altri due-tre anni”.
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