Christophe Bernard
Gli investimenti alternativi guadagnano attrattiva
6 Maggio 2015 10:20
è nostra intenzione predire la fine del mercato rialzista per i titoli di Stato di alta qualità a lunga scadenza, che sono finora sostenuti dalla flessione dell’inflazione, dall’incessante ricerca di sicurezza e dalle massicce misure di liquidità delle banche centrali. Tuttavia siamo del parere che gli attuali rendimenti offerti dai titoli della Confederazione svizzera o dai bund tedeschi, non offrano più un ragionevole rapporto rischio-rendimento a meno che gli investitori in governativi tedeschi non si aspettino di essere ripagati in (nuovi) marchi tedeschi dopo un eventuale collasso dell’Unione monetaria europea” commenta Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel che, come diretta conseguenza di questa convinzione, ha ridotto a zero la propria esposizione in titoli di Stato svizzeri e tedeschi ed ha mantenuto i Treasury USA come l’esposizione preferita nella duration di alta qualità. Per contro lo strategist ha aumentato il peso relativo alle strategie alternative liquide destinate a generare rendimenti assoluti non correlati ad azioni e obbligazioni (per ulteriori chiarimenti si può leggere l’articolo “Liquid alternative, ecco la soluzione diversificata e decorrelata”).
“Mentre manteniamo una discreta esposizione nei mercati azionari e obbligazionari sullo sfondo di un ambiente mondiale ancora favorevole, notiamo che i premi al rischio offerti in questi segmenti sono in calo, complice l’iperattività delle banche centrali. Ciò ci induce a cercare investimenti alternativi” puntualizza infatti Christophe Bernard che, nella sua consueta analisi mensile dei mercati, ha esaminato i motivi della tendenza al ribasso dei prezzi a lungo termine o del rallentamento dell’inflazione (disinflazione) individuandone cinque principali fattori:
1. La globalizzazione, misurata in base alla crescente quota delle esportazioni mondiali in percentuale del prodotto interno lordo globale (PIL), è stata un fattore importante in un percorso segnato da due grandi pietre miliari: la caduta del comunismo negli anni novanta e l’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001.
2. Anche la perdita di influenza dei sindacati e la fine dell’indicizzazione dei salari hanno svolto un ruolo importante.
3. Le innovazioni tecniche, e in primis Internet, hanno aumentato la produttività del lavoro e consentito la trasparenza dei prezzi su scala mondiale.
4. Dopo un periodo di scarsità e di incremento dei prezzi, l’offerta di materie prime è cresciuta in misura considerevole e si è tradotta negli ultimi anni in una flessione dei prezzi.
5. In generale, la pressione a ridurre gli eccessivi livelli di debito, che si sono accumulati sulla scia della grande crisi finanziaria, è sostanzialmente disinflazionistica.
“Pur convinti che le forze disinflazionistiche secolari continuino a prevalere, crediamo che alcuni dei fattori indicati abbiano perso temporaneamente di vigore. Ciò vale in particolare per la globalizzazione e la produttività del lavoro (entrambi stagnanti), ma anche per i prezzi delle materie prime (la cui discesa si è arrestata). Di conseguenza, le letture dell’inflazione hanno quasi raggiunto il punto di svolta inferiore. Inoltre la deflazione è talvolta considerata più preoccupante dell’inflazione: le banche centrali in Europa e in Giappone, per esempio, sono tuttora fermamente impegnate a spingere i prezzi al rialzo” sostiene infine Christophe Bernard.
“Mentre manteniamo una discreta esposizione nei mercati azionari e obbligazionari sullo sfondo di un ambiente mondiale ancora favorevole, notiamo che i premi al rischio offerti in questi segmenti sono in calo, complice l’iperattività delle banche centrali. Ciò ci induce a cercare investimenti alternativi” puntualizza infatti Christophe Bernard che, nella sua consueta analisi mensile dei mercati, ha esaminato i motivi della tendenza al ribasso dei prezzi a lungo termine o del rallentamento dell’inflazione (disinflazione) individuandone cinque principali fattori:
1. La globalizzazione, misurata in base alla crescente quota delle esportazioni mondiali in percentuale del prodotto interno lordo globale (PIL), è stata un fattore importante in un percorso segnato da due grandi pietre miliari: la caduta del comunismo negli anni novanta e l’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001.
2. Anche la perdita di influenza dei sindacati e la fine dell’indicizzazione dei salari hanno svolto un ruolo importante.
3. Le innovazioni tecniche, e in primis Internet, hanno aumentato la produttività del lavoro e consentito la trasparenza dei prezzi su scala mondiale.
4. Dopo un periodo di scarsità e di incremento dei prezzi, l’offerta di materie prime è cresciuta in misura considerevole e si è tradotta negli ultimi anni in una flessione dei prezzi.
5. In generale, la pressione a ridurre gli eccessivi livelli di debito, che si sono accumulati sulla scia della grande crisi finanziaria, è sostanzialmente disinflazionistica.
“Pur convinti che le forze disinflazionistiche secolari continuino a prevalere, crediamo che alcuni dei fattori indicati abbiano perso temporaneamente di vigore. Ciò vale in particolare per la globalizzazione e la produttività del lavoro (entrambi stagnanti), ma anche per i prezzi delle materie prime (la cui discesa si è arrestata). Di conseguenza, le letture dell’inflazione hanno quasi raggiunto il punto di svolta inferiore. Inoltre la deflazione è talvolta considerata più preoccupante dell’inflazione: le banche centrali in Europa e in Giappone, per esempio, sono tuttora fermamente impegnate a spingere i prezzi al rialzo” sostiene infine Christophe Bernard.