corporation USA
Multinazionali USA, sottovalutata la loro capacità di adattamento
13 Maggio 2015 10:15
n molti, tra analisti, economisti, asset manager e dirigenti aziendali, a sottolineare che il rafforzamento del dollaro USA ha provocato un certo impatto negativo sui profitti aziendali delle società statunitensi: il saldo netto tra la conversione delle vendite in valuta estera e i minori costi è infatti a sfavore degli utili operativi di molte imprese americane con attività nei mercati esteri.
La conferma arriva anche dal resoconto delle trimestrali: a metà circa del periodo di pubblicazione dei risultati trimestrali, gli utili per azione del primo trimestre delle società dell’indice S&P500 registrano una flessione dell’1% su base annuale. Si tratta del primo calo annuale dall’uscita della crisi, anche se in parte dovuto alle difficoltà del settore energetico conseguenti al ribasso del petrolio.
I dati delle aziende che pubblicano i risultati in dollari mostrano qualche tentativo di attutire l’impatto attraverso l’aumento dei prezzi sui mercati esteri (in funzione del contesto competitivo) e la riduzione dei costi. Sono comunque pochissime le società disposte a rilocalizzare la capacità produttiva. La forza del dollaro rappresenta un vantaggio per i concorrenti esteri che cercano di aumentare la propria quota di mercato e le vendite negli Stati Uniti.
La debolezza dell’euro ha già avuto effetti positivi sulle imprese europee, che probabilmente registreranno un'accelerazione della crescita del fatturato rispetto ai concorrenti statunitensi, per la prima volta da diversi trimestri: basti pensare che, negli ultimi tre mesi del 2014, i profitti delle società del Vecchio Continente (escluso il settore finanziario) sono aumentati dell’11% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, è bene ricordarlo, si tratta di un incremento che parte da livelli bassi (ancora molto inferiori al picco del 2006 - 2007) e la cui sostenibilità, peraltro, non è affatto certa, poiché il miglioramento della crescita nell’Eurozona e l’ampio saldo positivo delle partite correnti potrebbero limitare l’ulteriore deprezzamento dell’euro, nonostante la divergenza tra l’allentamento della politica monetaria della BCE tramite il proprio QE e la possibile azione di rialzo dei tassi da parte della Fed americana.
Diverso il discorso per yen, in quanto la Bank of Japan (BoJ) è fortemente motivata a favorirne il deprezzamento per avvicinarsi maggiormente all’obiettivo di inflazione del 2%: la rapida svalutazione dello yen è la principale ragione degli utili da record delle grandi società nipponiche.
“La forza del dollaro potrebbe imprimere slancio alle società non statunitensi, ma è importante distinguere quali stiano semplicemente beneficiando del tasso di cambio favorevole e quali stiano invece approfittando di un effettivo vantaggio competitivo per guadagnare quote di mercato” dichiarano gli esperti di Goldman Sachs Asset Management (“GSAM”) che poi tuttavia tengono a precisare: ”Negli Stati Uniti, alcuni investitori continuano a preferire le società locali meno sensibili ai movimenti valutari, mentre altri cercano opportunità fra le imprese più esposte, poiché il mercato potrebbe sottovalutare la loro capacità di adattamento”.
La conferma arriva anche dal resoconto delle trimestrali: a metà circa del periodo di pubblicazione dei risultati trimestrali, gli utili per azione del primo trimestre delle società dell’indice S&P500 registrano una flessione dell’1% su base annuale. Si tratta del primo calo annuale dall’uscita della crisi, anche se in parte dovuto alle difficoltà del settore energetico conseguenti al ribasso del petrolio.
I dati delle aziende che pubblicano i risultati in dollari mostrano qualche tentativo di attutire l’impatto attraverso l’aumento dei prezzi sui mercati esteri (in funzione del contesto competitivo) e la riduzione dei costi. Sono comunque pochissime le società disposte a rilocalizzare la capacità produttiva. La forza del dollaro rappresenta un vantaggio per i concorrenti esteri che cercano di aumentare la propria quota di mercato e le vendite negli Stati Uniti.
La debolezza dell’euro ha già avuto effetti positivi sulle imprese europee, che probabilmente registreranno un'accelerazione della crescita del fatturato rispetto ai concorrenti statunitensi, per la prima volta da diversi trimestri: basti pensare che, negli ultimi tre mesi del 2014, i profitti delle società del Vecchio Continente (escluso il settore finanziario) sono aumentati dell’11% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, è bene ricordarlo, si tratta di un incremento che parte da livelli bassi (ancora molto inferiori al picco del 2006 - 2007) e la cui sostenibilità, peraltro, non è affatto certa, poiché il miglioramento della crescita nell’Eurozona e l’ampio saldo positivo delle partite correnti potrebbero limitare l’ulteriore deprezzamento dell’euro, nonostante la divergenza tra l’allentamento della politica monetaria della BCE tramite il proprio QE e la possibile azione di rialzo dei tassi da parte della Fed americana.
Diverso il discorso per yen, in quanto la Bank of Japan (BoJ) è fortemente motivata a favorirne il deprezzamento per avvicinarsi maggiormente all’obiettivo di inflazione del 2%: la rapida svalutazione dello yen è la principale ragione degli utili da record delle grandi società nipponiche.
“La forza del dollaro potrebbe imprimere slancio alle società non statunitensi, ma è importante distinguere quali stiano semplicemente beneficiando del tasso di cambio favorevole e quali stiano invece approfittando di un effettivo vantaggio competitivo per guadagnare quote di mercato” dichiarano gli esperti di Goldman Sachs Asset Management (“GSAM”) che poi tuttavia tengono a precisare: ”Negli Stati Uniti, alcuni investitori continuano a preferire le società locali meno sensibili ai movimenti valutari, mentre altri cercano opportunità fra le imprese più esposte, poiché il mercato potrebbe sottovalutare la loro capacità di adattamento”.
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