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Settore petrolifero, meglio puntare sulle small&mid cap

3 Agosto 2015 14:04

financialounge -  commodities GAM JB Energy Transition petrolio Roberto Cominotto settore energetico
con i prezzi del petrolio ben al di sotto dei 100 dollari al barile, il settore energetico offre opportunità di investimento allettanti.
A sostenerlo è Roberto Cominotto, gestore del fondo JB Energy Transition secondo il quale queste opportunità si possono trovare soprattutto nei produttori mid&small cap, che hanno i costi di produzioni più bassi del settore.
“Molte di queste sono società di produzione di greggio e gas di scisto nordamericane, come Memorial Resource Development, Cardinal Energy e Torc Oil & Gas. Queste aziende possono crescere anche con i prezzi del greggio ai livelli attuali; inoltre, possono finanziare gli investimenti e lo stacco dei dividendi con i flussi di cassa operativa, e fare acquisizioni. Vediamo opportunità di investimento molto interessanti anche nel comparto delle energie rinnovabili, soprattutto nel mercato del solare USA e dell’eolico delle Economie Emergenti” spiega il manager che non riesce a vedere alcun motivo valido per investire sulle grandi major petrolifere.

Questa convinzione è supportata dai risultati del secondo trimestre per i grandi gruppi dell’oil&gas, inclusi Shell e BP, che rivelano il forte impatto del crollo del prezzo del greggio negli ultimi 12 mesi.
“Sebbene parte delle perdite siano state compensate dai margini sulla raffinazione più alti, il crescente problema della sovra produzione fa sì che questa rete di sicurezza possa dimostrarsi di breve durata” sottolinea Roberto Cominotto che poi ricorda come le grandi società come Exxon, Shell, BP, ENI e Chevron stiano ancora lottando con problemi strutturali significativi.
Tra il 2001 e il 2014, periodo in cui il prezzo del greggio è salito dai 40 dollari al barile a oltre 100 dollari, queste società hanno registrato volumi di produzione in calo e i ritorni sul capitale impiegato si sono, di conseguenza, dimezzati, dal 20% al 10%. Asset produttivi vecchi o costosi rimangono il problema chiave, con il gas naturale liquido in Australia e il greggio off-shore, in particolare, che stanno diventando sempre più costosi e complicati da produrre. Nelle riserve di gas e petrolio di scisto dell’America del Nord, che implicano costi di produzione in calo, le major giocano un ruolo soltanto marginale.

“I grandi gruppi petroliferi hanno però continuato ad aumentare i dividendi, nel tentativo di soddisfare gli azionisti. Anche con un prezzo del petrolio a 100 dollari al barile, i dividendi non potevano essere finanziati dai flussi di cassa operativi. Erano infatti finanziati con nuovo debito, emissioni di nuove azioni o vendita di partecipazioni. Le spese di esplorazione andrebbero tagliate in maniera drastica, ma ciò comporterebbe una riduzione significativa dei volumi di produzione. I grandi gruppi petroliferi integrati, perciò, probabilmente continueranno a scambiare su valutazioni dei multipli basse” conclude Roberto Cominotto.

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