Europa
Azionario Euro, perché preferire i titoli esposti all’Eurozona
17 Agosto 2015 15:09
iamo una preferenza netta per i titoli esposti all’Eurozona, inclusi quelli del settore bancario, in cui lo slancio sta migliorando grazie alla ripresa economica. Nel frattempo, la resistenza dei consumatori nell’Eurozona è ben supportata dagli stimoli offerti dai tassi di interesse bassi o negativi, dal basso prezzo del petrolio, dal crescente impulso del credito bancario e dalla domanda ancora inespressa legata alla ripresa dell’Europa periferica” dichiara Martin Skanberg, Gestore azionario europeo di Schroders, analizzando i potenziali impatti della svalutazione del renminbi cinese.
Il manager, al contrario, ha una esposizione limitata ai beni del lusso e al settore automotive, il che dovrebbe rivelarsi un beneficio se questi comparti continueranno a essere in ritardo rispetto al mercato: ciò, tuttavia, non esclude che ci sia sempre la massima attenzione per trovare opportunità legate al disallineamento dei prezzi anche perchè la futura volatilità azionaria, indotta dal mercato valutario, potrebbero in effetti comportare oscillazioni molto significative, che possono essere sfruttate da gestori attivi come Schroders. In ogni caso, fa notare nella sua analisi Martin Skanberg, l’esposizione dei paesi della zona euro al mercato cinese è abbastanza contenuta: circa il 6% delle esportazioni totale dell’Eurozona sono dirette alla Cina, mentre circa il 10% delle importazioni provengono dal gigante asiatico (fonte: Citibank).
“Sebbene tali percentuali non siano trascurabili, il livello generale è abbastanza moderato e sottolinea come il commercio interno all’area euro sia molto più importante per il PIL dell’Eurozona. Ulteriori svalutazioni sarebbero un ostacolo per il potere di determinazione del prezzo delle esportazioni, ma importazioni più economiche potrebbero controbilanciare questo effetto e dare sostegno ai consumi nell’area euro” sottolinea il manager che, inoltre, suggerisce di mantenere una prospettiva sulla svalutazione cinese.
Il suo riferimento è al fatto che la moneta unica si è deprezzata di circa il 2% rispetto al renminbi negli ultimi 12 mesi e di circa il 9% negli ultimi due anni: di conseguenza, le società esportatrici dell’Eurozona godono comunque di una spinta positiva sul fronte valutario, agli attuali livelli. Per quanto riguarda poi l’esposizione azionaria dell’Eurozona, non sono disponibili dati dettagliati. Si stima che circa il 12% delle vendite ponderate per la capitalizzazione di mercato (riferite alle società dell’Eurostoxx 50) siano dirette alla regione Asia Pacifico, con solo il 2% di esse indirizzate direttamente alla Cina.
“Va notato che queste cifre includono solo le vendite dirette e non riflettono pienamente il valore aggiunto delle vendite interne all’Eurozona che potrebbero poi diventare esportazioni verso la Cina. Tuttavia, possiamo stimare che l’esposizione degli utili societari sia a un livello lievemente più alto (circa al 6%). Di nuovo, ciò dimostra la dipendenza dal commercio locale europeo (59% circa). Per questo, ci aspettiamo un impatto solo moderato dalle oscillazioni dei tassi di cambio sui mercati dell’Eurozona” argomenta Martin Skanberg che poi spiega le ragioni in base alle quali alcuni settori risultano più vulnerabili alla svalutazione cinese.
“Ci sono alcuni settori e società che hanno un’esposizione significativa alla Cina. Tra questi, i beni di lusso, il settore tecnologico, dell’automotive, dei beni strumentali e dei materiali (in particolare settore minerario e chimico). Per questi comparti, i profitti convertiti in euro saranno colpiti, ma è anche possibile che emergano degli svantaggi competitivi sulle transazioni, a causa di una competizione rivitalizzata, ciò è quello che potrebbe accadere ad alcune società industriali e chimiche che devono affrontare una forte competizione cinese. Sebbene ci sia una forte dispersione tra le società dell’Eurozona, ci sono molti settori domestici che hanno, per definizione, un’esposizione nulla o limitata alla Cina, come il settore bancario, assicurativo, dei viaggi, dei media, delle utility e dei servizi di telecomunicazione, per citarne alcuni”.
Il manager, al contrario, ha una esposizione limitata ai beni del lusso e al settore automotive, il che dovrebbe rivelarsi un beneficio se questi comparti continueranno a essere in ritardo rispetto al mercato: ciò, tuttavia, non esclude che ci sia sempre la massima attenzione per trovare opportunità legate al disallineamento dei prezzi anche perchè la futura volatilità azionaria, indotta dal mercato valutario, potrebbero in effetti comportare oscillazioni molto significative, che possono essere sfruttate da gestori attivi come Schroders. In ogni caso, fa notare nella sua analisi Martin Skanberg, l’esposizione dei paesi della zona euro al mercato cinese è abbastanza contenuta: circa il 6% delle esportazioni totale dell’Eurozona sono dirette alla Cina, mentre circa il 10% delle importazioni provengono dal gigante asiatico (fonte: Citibank).
“Sebbene tali percentuali non siano trascurabili, il livello generale è abbastanza moderato e sottolinea come il commercio interno all’area euro sia molto più importante per il PIL dell’Eurozona. Ulteriori svalutazioni sarebbero un ostacolo per il potere di determinazione del prezzo delle esportazioni, ma importazioni più economiche potrebbero controbilanciare questo effetto e dare sostegno ai consumi nell’area euro” sottolinea il manager che, inoltre, suggerisce di mantenere una prospettiva sulla svalutazione cinese.
Il suo riferimento è al fatto che la moneta unica si è deprezzata di circa il 2% rispetto al renminbi negli ultimi 12 mesi e di circa il 9% negli ultimi due anni: di conseguenza, le società esportatrici dell’Eurozona godono comunque di una spinta positiva sul fronte valutario, agli attuali livelli. Per quanto riguarda poi l’esposizione azionaria dell’Eurozona, non sono disponibili dati dettagliati. Si stima che circa il 12% delle vendite ponderate per la capitalizzazione di mercato (riferite alle società dell’Eurostoxx 50) siano dirette alla regione Asia Pacifico, con solo il 2% di esse indirizzate direttamente alla Cina.
“Va notato che queste cifre includono solo le vendite dirette e non riflettono pienamente il valore aggiunto delle vendite interne all’Eurozona che potrebbero poi diventare esportazioni verso la Cina. Tuttavia, possiamo stimare che l’esposizione degli utili societari sia a un livello lievemente più alto (circa al 6%). Di nuovo, ciò dimostra la dipendenza dal commercio locale europeo (59% circa). Per questo, ci aspettiamo un impatto solo moderato dalle oscillazioni dei tassi di cambio sui mercati dell’Eurozona” argomenta Martin Skanberg che poi spiega le ragioni in base alle quali alcuni settori risultano più vulnerabili alla svalutazione cinese.
“Ci sono alcuni settori e società che hanno un’esposizione significativa alla Cina. Tra questi, i beni di lusso, il settore tecnologico, dell’automotive, dei beni strumentali e dei materiali (in particolare settore minerario e chimico). Per questi comparti, i profitti convertiti in euro saranno colpiti, ma è anche possibile che emergano degli svantaggi competitivi sulle transazioni, a causa di una competizione rivitalizzata, ciò è quello che potrebbe accadere ad alcune società industriali e chimiche che devono affrontare una forte competizione cinese. Sebbene ci sia una forte dispersione tra le società dell’Eurozona, ci sono molti settori domestici che hanno, per definizione, un’esposizione nulla o limitata alla Cina, come il settore bancario, assicurativo, dei viaggi, dei media, delle utility e dei servizi di telecomunicazione, per citarne alcuni”.