Federal Reserve
Fed, ora i mercati temono un rialzo dei tassi USA a settembre
7 Settembre 2015 10:28
ro importante tassello è andato a comporre il complesso puzzle relativo ai tassi di interesse americani. Il significato del dato di venerdì sull’occupazione statunitense è che l’economia americana può d’ora in avanti crescere anche senza tassi d’interesse “straordinariamente” fissati a zero per quasi sette anni per affrontare l’emergenza post crisi Lehman, ed è ora in grado di avviarsi verso la fase di normalizzazione con un primo rialzo dei tassi già a metà settembre.
“I tanto attesi dati sull’occupazione pubblicati venerdì scorso hanno dipinto un quadro positivo per il mercato del lavoro in America. Nonostante gli eventi in Cina, riteniamo ancora che la Federal Reserve alzerà i tassi il 17 settembre” ha commentato Keith Wade, Chief Economist & Strategist, Schroders, secondo il quale non si può certo nascondere che ciò che sta avvenendo in Cina non abbia ripercussioni sull’economia globale inducendo nuove pressioni deflazionistiche. Così come, allo stesso tempo, è impossibile non notare le peggiori condizioni finanziarie causate da un dollaro più forte e da mercati finanziari (azionari e del credito) più instabili.
Tuttavia, ha sottolineato l’economista, gli Stati Uniti godono di buona salute e mostrano robusti segnali di crescita continua e superiore al trend. Resta il fatto che i payroll non agricoli, sebbene siano aumentati di sole 173 mila unità (meno, infatti, dei 215.000 attesi), hanno visto gli investitori correre a vendere le azioni europee (indice Stoxx 600 ha perso il 2,5% venerdì scorso) anche perché il tasso di disoccupazione negli USA è sceso al 5,1% e il salario orario medio è stato lievemente migliore delle attese, attestandosi al 2,2% su base annua: la disoccupazione è quindi in linea con le stime ufficiali di equilibrio, il cosiddetto NAIRU (non-accelerating inflation rate of unemployment), il tasso al quale i salari iniziano a far crescere l’economia.
Quando la Fed agirà sui tassi, gli investitori, che stanno alleggerendo le posizioni sui mercati emergenti già da aprile (quindi molto prima delle ultime turbolenze cinesi), potrebbero forse muoversi in maniera meno caotica rispetto al maggio – giugno 2013 (cioè quando iniziarono a circolare le prime ipotesi di una riduzione degli acquisti di obbligazioni in dollari da parte della Fed). Un’ipotesi, tuttavia, tutta da verificare perché sono in molti a sottolineare il pericolo che un rialzo dei tassi della Fed il 17 settembre possa far accrescere ulteriormente la volatilità.
“I policy maker vogliono evitare che si diffonda la convinzione che il rialzo dei tassi USA possa essere in linea con i cicli passati, per scongiurare il timore che le condizioni finanziarie generali salgano troppo rapidamente con impatti negativi sull’economia. Il board della banca centrale americana dovrà pertanto riuscire ad usare tutto il proprio carisma per convincere il mercato che i tassi saliranno solo molto gradualmente” ha concluso Keith Wade.
“I tanto attesi dati sull’occupazione pubblicati venerdì scorso hanno dipinto un quadro positivo per il mercato del lavoro in America. Nonostante gli eventi in Cina, riteniamo ancora che la Federal Reserve alzerà i tassi il 17 settembre” ha commentato Keith Wade, Chief Economist & Strategist, Schroders, secondo il quale non si può certo nascondere che ciò che sta avvenendo in Cina non abbia ripercussioni sull’economia globale inducendo nuove pressioni deflazionistiche. Così come, allo stesso tempo, è impossibile non notare le peggiori condizioni finanziarie causate da un dollaro più forte e da mercati finanziari (azionari e del credito) più instabili.
Tuttavia, ha sottolineato l’economista, gli Stati Uniti godono di buona salute e mostrano robusti segnali di crescita continua e superiore al trend. Resta il fatto che i payroll non agricoli, sebbene siano aumentati di sole 173 mila unità (meno, infatti, dei 215.000 attesi), hanno visto gli investitori correre a vendere le azioni europee (indice Stoxx 600 ha perso il 2,5% venerdì scorso) anche perché il tasso di disoccupazione negli USA è sceso al 5,1% e il salario orario medio è stato lievemente migliore delle attese, attestandosi al 2,2% su base annua: la disoccupazione è quindi in linea con le stime ufficiali di equilibrio, il cosiddetto NAIRU (non-accelerating inflation rate of unemployment), il tasso al quale i salari iniziano a far crescere l’economia.
Quando la Fed agirà sui tassi, gli investitori, che stanno alleggerendo le posizioni sui mercati emergenti già da aprile (quindi molto prima delle ultime turbolenze cinesi), potrebbero forse muoversi in maniera meno caotica rispetto al maggio – giugno 2013 (cioè quando iniziarono a circolare le prime ipotesi di una riduzione degli acquisti di obbligazioni in dollari da parte della Fed). Un’ipotesi, tuttavia, tutta da verificare perché sono in molti a sottolineare il pericolo che un rialzo dei tassi della Fed il 17 settembre possa far accrescere ulteriormente la volatilità.
“I policy maker vogliono evitare che si diffonda la convinzione che il rialzo dei tassi USA possa essere in linea con i cicli passati, per scongiurare il timore che le condizioni finanziarie generali salgano troppo rapidamente con impatti negativi sull’economia. Il board della banca centrale americana dovrà pertanto riuscire ad usare tutto il proprio carisma per convincere il mercato che i tassi saliranno solo molto gradualmente” ha concluso Keith Wade.
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