ABI
Bond bancari, lo sboom interessa anche l’asset management
6 Ottobre 2015 09:41
tanti dati forniti dal report mensile dell’ABI, l’associazione bancaria italiana, sull’universo degli istituti di credito del nostro paese, ce n’è uno che evidenzia un importante fenomeno che ha diverse spiegazioni e una importante implicazione anche per l’industria italiana dell’asset management. Si tratta del calo, quasi senza soluzione di continuità dal 2012 a oggi, delle obbligazioni bancarie in circolazione.
Al 31 agosto, ultimo dato disponibile nel report dell’ABI, il loro controvalore complessivo ammontava a 399,6 miliardi di euro, cioè il 14,3% in meno rispetto ai 466,1 miliardi di 12 mesi prima e il 23,1% al di sotto dei 519,7 miliardi che valevano nell’agosto 2013. Una contrazione che ne ha ridotto in misura importante il loro peso specifico sul totale della raccolta bancaria, ovvero la somma di obbligazioni e dei depositi della clientela residente: se ad agosto 2013, le obbligazioni bancarie in circolazione in Italia equivalevano al 30% del totale della raccolta bancaria, a fine agosto 2015 la loro percentuale non andava oltre il 23,9%. Tra le principali spiegazioni di questo fenomeno ne figurano soprattutto tre.
La prima consiste nella liquidità generata dalle varie manovre della BCE negli ultimi anni che hanno garantito alle banche finanziamenti presso la banca centrale europea a tassi ultra convenienti rendendo meno impellente il collocamento di obbligazioni presso la clientela. Il secondo è da ricercarsi nella prospettiva di coinvolgere, in caso di fallimento della banca, anche i possessori di obbligazioni e questo scoraggia un po’ la domanda e un po’ anche l’offerta. Per ultimo, ma forse il più importante, c’è lo switch verso il risparmio gestito.
Le banche, che in Italia rappresentano oltre il 70% della raccolta netta dei flussi di sottoscrizione verso i fondi, hanno da tempo agevolato il passaggio, presso la propria clientela, dalle obbligazioni bancarie (che offrono un rendimento prossimo allo zero, in linea se non ,addirittura, al di sotto, di quello dei titoli di stato) ai fondi, alle sicav e alle gestioni patrimoniali che garantiscono agli istituti laute commissioni e una fidelizzazione potenzialmente maggiore. Proprio quest’ultimo fenomeno deve essere tenuto attentamente sotto osservazione dai player del risparmio gestito in Italia: se, e quando, le banche italiane dovessero decidere di ritornare a collocare i «cari e vecchi» bond bancari allo sportello, le implicazioni per l’industria del risparmio gestito potrebbero essere piuttosto significative.
Al 31 agosto, ultimo dato disponibile nel report dell’ABI, il loro controvalore complessivo ammontava a 399,6 miliardi di euro, cioè il 14,3% in meno rispetto ai 466,1 miliardi di 12 mesi prima e il 23,1% al di sotto dei 519,7 miliardi che valevano nell’agosto 2013. Una contrazione che ne ha ridotto in misura importante il loro peso specifico sul totale della raccolta bancaria, ovvero la somma di obbligazioni e dei depositi della clientela residente: se ad agosto 2013, le obbligazioni bancarie in circolazione in Italia equivalevano al 30% del totale della raccolta bancaria, a fine agosto 2015 la loro percentuale non andava oltre il 23,9%. Tra le principali spiegazioni di questo fenomeno ne figurano soprattutto tre.
La prima consiste nella liquidità generata dalle varie manovre della BCE negli ultimi anni che hanno garantito alle banche finanziamenti presso la banca centrale europea a tassi ultra convenienti rendendo meno impellente il collocamento di obbligazioni presso la clientela. Il secondo è da ricercarsi nella prospettiva di coinvolgere, in caso di fallimento della banca, anche i possessori di obbligazioni e questo scoraggia un po’ la domanda e un po’ anche l’offerta. Per ultimo, ma forse il più importante, c’è lo switch verso il risparmio gestito.
Le banche, che in Italia rappresentano oltre il 70% della raccolta netta dei flussi di sottoscrizione verso i fondi, hanno da tempo agevolato il passaggio, presso la propria clientela, dalle obbligazioni bancarie (che offrono un rendimento prossimo allo zero, in linea se non ,addirittura, al di sotto, di quello dei titoli di stato) ai fondi, alle sicav e alle gestioni patrimoniali che garantiscono agli istituti laute commissioni e una fidelizzazione potenzialmente maggiore. Proprio quest’ultimo fenomeno deve essere tenuto attentamente sotto osservazione dai player del risparmio gestito in Italia: se, e quando, le banche italiane dovessero decidere di ritornare a collocare i «cari e vecchi» bond bancari allo sportello, le implicazioni per l’industria del risparmio gestito potrebbero essere piuttosto significative.
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