Carlo Benetti

Faremo i conti con il rallentamento cinese anche nel 2016

21 Ottobre 2015 10:33

financialounge -  Carlo Benetti cina GAM settore bancario settore energetico
trong>La Cina rallenta? La minore crescita della sua economia, e soprattutto i suoi effetti sull’economia globale è una delle notizie più importanti di cui si parla in città. “Le sfide dell’immediato futuro sono vaste e di natura strutturale, faremo i conti con il rallentamento dell’economia cinese anche nel 2016 ma è nell’interesse della leadership cinese evitare un hard landing della seconda economia globale” fa sapere Carlo Benetti, Head of Market Research & Business Innovation di GAM Italia Sgr, nel commento analitico L’Alpha e il Beta del 19 ottobre.

Il manager, nel rispondere a chi si preoccupa di una crescita al di sotto del fatidico 7%, sottolinea come sia opportuna, leggendo i dati cinesi, una buona dose di scetticismo. Del resto, ricorda Carlo Benetti, lo stesso attuale primo ministro Li Keqiang qualche anno fa, all’epoca giovane dirigente del Partito, aveva confidato all’ambasciatore americano che le cifre di crescita erano inaffidabili, «aggiustate» ad arte da manine sapienti. Li Keqiang, infatti, preferiva interpretare tre più affidabili indicatori dell’andamento reale dell’economia: il consumo di energia elettrica, il traffico merci ferroviario, i finanziamenti erogati dalle banche.

Su quella indiscrezione il settimanale The Economist costruì un indice sintetico, l’«indice Li Keqiang» appunto, che però nella attuale fase di trasformazione strutturale dell’economia perde a sua volta di attendibilità. La debolezza dell’economia cinese è indicata dall’indice PMI di agosto e settembre sotto la soglia di 50, dall’inflazione a 1,6% contro un obiettivo dichiarato del 3%, dalla riduzione del 14,3% delle importazioni in agosto. Ma altri dati indicano una realtà diversa, ad esempio il PMI del settore non manifatturiero, stabilmente sopra 50, la soglia che separa i segnali di espansione e di recessione. In agosto l’indice è stato a 53,4, prova della costante crescita nel settore dei servizi. È la conferma della minore affidabilità dell’indice Li Keqiang, costituito da indicatori della sola industria pesante.

Un prestigioso istituto inglese di analisi economica ha calcolato che se nel 2015 la crescita cinese fosse del 6% in luogo del 7% dichiarato, il contributo alla crescita globale resterebbe attorno all’1%, analogo a quello del 2005 quando la crescita cinese era attorno all’11%.

“Ma l’economia è un meccanismo complesso, e un rallentamento cinese avrebbe anche effetti di segno opposto: la debole domanda avrebbe un effetto depressivo sui prezzi di materie prime ed energia e ne trarrebbero vantaggio economie importatrici nette come l’Europa e alcuni emergenti come l’India. La svalutazione del renmimbi renderebbe più conveniente l’importazione di prodotti dalla Cina, il cui sistema manifatturiero è nel frattempo salito nella scala del valore aggiunto, non solo magliette e oggetti in plastica ma anche meccanica ed elettronica” sottolinea Carlo Benetti. Nella gran parte delle economie avanzate il valore delle importazioni cinesi non arriva al 5% del PIL, una svalutazione della valuta cinese del 20% comporterebbe una riduzione dell’inflazione attorno al punto percentuale. Sebbene questo possa complicare la vita ai banchieri centrali, non sembra poter innescare una spirale deflazionistica come temuto da alcuni, soprattutto se l’effetto negativo è compensato dal maggiore potere d’acquisto e dal reddito reale dei consumatori.

D’altra parte il governo di Pechino ha strumenti per contrastare i rischi di un hard landing dell’economia. La banca centrale ha abbassato i tassi ufficiali di 25 punti base, il quarto intervento nel 2015, e ridotto i requisiti delle riserve tecniche delle banche. La Cina conserva spazi di manovra nel bilancio pubblico: il deficit sul PIL del 2015 era autorizzato a 2,4% ma attualmente è a 0,5%. Dal primo ottobre la tassa sull’acquisto di auto nuove di piccola cilindrata è ridotta della metà ed ai governi locali è stata autorizzata la spesa per favorire la «rottamazione» delle autovetture vecchie e l’acquisto di nuove.

“La banca centrale cinese non vuole una valuta debole e in caso di nuovi, probabili, rally del dollaro americano lavorerà per mantenere stabile la divisa nazionale. La Cina sta affrontando una doppia sfida: da una parte la trasformazione strutturale, storica, della propria economia sostenuta da consumi interni e servizi, dall’altra deve sanare un decennio di sovrainvestimenti e livelli di credito non più sostenibili che costituiscono l’origine dei rischi di fallimento soprattutto nel mercato immobiliare” conclude Carlo Benetti.

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