banche centrali
Urge inflazione, ma la Fed aspetta
30 Ottobre 2015 15:20
simo nulla di fatto della Fed, che si limita a lasciare aperta la finestra di dicembre per il tanto atteso rialzo, manda sottozero i tassi di interesse in molti paesi e anche in Italia, dove persino i BOT a sei mesi si spingono in territorio negativo.
I bei tempi andati, quando la cedola dei titoli di Stato andava ad integrare il reddito di molte famiglie, anche se poi l'inflazione se ne mangiava una bella fetta, sembrano proprio andati. Nel mondo alla rovescia di oggi, tutti vorrebbero vedere almeno un po' della vecchia cara inflazione, quella che un tempo le banche centrali combattevano come il peggior nemico e ora invece non riescono a far riaccendere, nemmeno una fiammella. Come pensano le banche centrali di tutto il mondo sviluppato di far ripartire i prezzi, aiutando così la ripresa economica? Fino ad ora lo hanno fatto con l'arma della liquidità, inondano il mercato di moneta, ma l'inflazione di ripartire non ne vuol sapere. È possibile che sia sbagliata la ricetta?
Tutto sommato è la cura che sta tentando il Giappone da almeno vent'anni, ma senza successo. Il ragionamento delle banche centrali è il seguente: il cavallo non beve, cioè i consumatori non consumano, i prezzi restano fermi e l’economia non riparte. Per farlo bere gli alziamo l’abbeveratoio il più possibile, così non si deve sforzare. In altre parole gli mettiamo il denaro a portata di mano, a costo quasi zero, sperando che a quei prezzi magari si decida a impegnarsi per le rate di un’auto nuova o per il mutuo di una casa. Invece niente. Perché? Perché aspetta che il denaro costi ancora meno e che i prezzi diventino ancora più bassi. E l’economia non riparte.
Cosa c’entrano i tassi di interesse? Qualcuno comincia a pensare che se non ha funzionato spedirli sotto zero per far ripartire l’economia, forse vale la pena di provare la manovra inversa, e cominciare a tirarli su. Tra questi c’è Maria Paola Toschi, Market Strategist di J.P. Morgan Asset Management, secondo cui la politica dei tassi zero portata avanti da anni negli Stati Uniti sembra aver perso la sua funzione, “perchè alimenta un senso di sfiducia e proietta sull’economia le implicazioni di una prolungata repressione finanziaria”. In pratica significa che i tassi bassi hanno notevolmente ridotto le entrate finanziarie dei risparmiatori americani che investono in titoli di Stato, che hanno reagito riducendo le decisioni di spesa. Quale può essere quindi la medicina per riattivare l’inflazione? “Alzare i tassi,” risponde Toschi, “anche se sembra contro intuitivo”. Il Giappone ha sperimentato vent’anni di tassi a zero, senza riuscire a rilanciare la crescita e l’inflazione. Un rialzo dei tassi americani avrebbe più effetti positivi che negativi per l’economia, spiega Toschi.
Il primo importante effetto sarebbe aumentare la fiducia, un segnale che l’economia americana è finalmente forte e in grado di iniziare la normalizzazione dopo la grande crisi. La fiducia a sua volta è un canale molto potente per riattivare consumi e investimenti. E l’aumento dei tassi accrescerebbe il rendimento dei risparmiatori incoraggiandoli a decisioni di spesa. E l’aumento di consumi farebbe ripartire l’economia, aumentando la domanda e portando finalmente al rialzo dei prezzi e dell’inflazione. Naturalmente un rafforzamento dell’economia americana avrebbe riflessi positivi anche sull’Europa, che è il principale partner commerciale e che beneficerebbe anche di un ulteriore rafforzamento del dollaro verso l’euro, cosa che renderebbe le esportazioni del vecchio continente più competitive, dando anche qui una mano a far ripartire l’economia, e con essa i consumi.
Ma c’è il rischio che l’inflazione possa scappare di mano? Secondo Toschi almeno per ora sembra prematuro pensarlo. Possiamo invece pensare di essere ai minimi di prezzi del petrolio, ai minimi dei prezzi di molte materie prime, e anche di molte monete dei paesi emergenti. Segnali di inversione potrebbero contribuire al rilancio dell’inflazione, ma è fondamentale che la domanda torni ad essere forte per alimentare una ripresa economica sostenibile e per alzare le aspettative d’inflazione.
I bei tempi andati, quando la cedola dei titoli di Stato andava ad integrare il reddito di molte famiglie, anche se poi l'inflazione se ne mangiava una bella fetta, sembrano proprio andati. Nel mondo alla rovescia di oggi, tutti vorrebbero vedere almeno un po' della vecchia cara inflazione, quella che un tempo le banche centrali combattevano come il peggior nemico e ora invece non riescono a far riaccendere, nemmeno una fiammella. Come pensano le banche centrali di tutto il mondo sviluppato di far ripartire i prezzi, aiutando così la ripresa economica? Fino ad ora lo hanno fatto con l'arma della liquidità, inondano il mercato di moneta, ma l'inflazione di ripartire non ne vuol sapere. È possibile che sia sbagliata la ricetta?
Tutto sommato è la cura che sta tentando il Giappone da almeno vent'anni, ma senza successo. Il ragionamento delle banche centrali è il seguente: il cavallo non beve, cioè i consumatori non consumano, i prezzi restano fermi e l’economia non riparte. Per farlo bere gli alziamo l’abbeveratoio il più possibile, così non si deve sforzare. In altre parole gli mettiamo il denaro a portata di mano, a costo quasi zero, sperando che a quei prezzi magari si decida a impegnarsi per le rate di un’auto nuova o per il mutuo di una casa. Invece niente. Perché? Perché aspetta che il denaro costi ancora meno e che i prezzi diventino ancora più bassi. E l’economia non riparte.
Cosa c’entrano i tassi di interesse? Qualcuno comincia a pensare che se non ha funzionato spedirli sotto zero per far ripartire l’economia, forse vale la pena di provare la manovra inversa, e cominciare a tirarli su. Tra questi c’è Maria Paola Toschi, Market Strategist di J.P. Morgan Asset Management, secondo cui la politica dei tassi zero portata avanti da anni negli Stati Uniti sembra aver perso la sua funzione, “perchè alimenta un senso di sfiducia e proietta sull’economia le implicazioni di una prolungata repressione finanziaria”. In pratica significa che i tassi bassi hanno notevolmente ridotto le entrate finanziarie dei risparmiatori americani che investono in titoli di Stato, che hanno reagito riducendo le decisioni di spesa. Quale può essere quindi la medicina per riattivare l’inflazione? “Alzare i tassi,” risponde Toschi, “anche se sembra contro intuitivo”. Il Giappone ha sperimentato vent’anni di tassi a zero, senza riuscire a rilanciare la crescita e l’inflazione. Un rialzo dei tassi americani avrebbe più effetti positivi che negativi per l’economia, spiega Toschi.
Il primo importante effetto sarebbe aumentare la fiducia, un segnale che l’economia americana è finalmente forte e in grado di iniziare la normalizzazione dopo la grande crisi. La fiducia a sua volta è un canale molto potente per riattivare consumi e investimenti. E l’aumento dei tassi accrescerebbe il rendimento dei risparmiatori incoraggiandoli a decisioni di spesa. E l’aumento di consumi farebbe ripartire l’economia, aumentando la domanda e portando finalmente al rialzo dei prezzi e dell’inflazione. Naturalmente un rafforzamento dell’economia americana avrebbe riflessi positivi anche sull’Europa, che è il principale partner commerciale e che beneficerebbe anche di un ulteriore rafforzamento del dollaro verso l’euro, cosa che renderebbe le esportazioni del vecchio continente più competitive, dando anche qui una mano a far ripartire l’economia, e con essa i consumi.
Ma c’è il rischio che l’inflazione possa scappare di mano? Secondo Toschi almeno per ora sembra prematuro pensarlo. Possiamo invece pensare di essere ai minimi di prezzi del petrolio, ai minimi dei prezzi di molte materie prime, e anche di molte monete dei paesi emergenti. Segnali di inversione potrebbero contribuire al rilancio dell’inflazione, ma è fondamentale che la domanda torni ad essere forte per alimentare una ripresa economica sostenibile e per alzare le aspettative d’inflazione.
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