Ethenea
Settore manifatturiero, resta sempre un volano del PIL
4 Dicembre 2015 11:11
impatto del settore manifatturiero sui cicli economici delle economie sviluppate non sembra essere stato indebolito da decenni di deindustrializzazione. La ripresa globalmente debole del settore dopo l’ultima grande crisi può spiegare in parte la debole crescita del PIL e l’assenza di un nuovo ciclo d’investimento: le economie sviluppate restano pertanto sensibili al ciclo produttivo e in questo ambito la Cina ha un ruolo non da poco” è questa la conclusione a cui giunge Yves Longchamp, CFA Head of Research ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG, nella sua analisi su quanto conti ancora il settore manifatturiero sull’economia mondiale. In conclusione, secondo Yves Longchamp, il settore manifatturiero resta sempre un volano del PIL.
La deindustrializzazione si è avviata negli Stati Uniti già negli anni Cinquanta, l’età dell’oro per la produzione manifatturiera che all’epoca concentrava un impiego su tre, mentre nel 2015 siamo a uno su undici. Tra i tanti fattori che hanno determinato questo trend si possono citare gli incrementi di produttività, l’automatizzazione industriale, i nuovi concorrenti globali come la Cina e la recente digitalizzazione.
“Nel corso degli ultimi cinque anni la tendenza al ribasso si è arrestata, il che suggerisce che la deindustrializzazione ha perso slancio” rivela Yves Longchamp che, inoltre, fa notare come nonostante la deindustrializzazione e le differenze tra di loro, le più importanti economie occidentali (zona euro, Francia, Germania, Italia, Giappone, Spagna, Svizzera, Regno Unito e USA) dimostrano che il settore manifatturiero conta eccome per la valutazione del ciclo economico. In particolare in tutte queste economie, le fasi espansive e negative del PIL sono strettamente collegate ai cicli produttivi. Ne deriva che, sebbene il settore manifatturiero sia relativamente contenuto rispetto all’economia nel suo complesso, rimane un rilevante fattore di oscillazione. Inoltre, durante le recessioni la correlazione cresce, il che dimostra che il ciclo produttivo è un canale di trasmissione potente nei periodi difficili.
Secondo Yves Longchamp si può giungere a due conclusioni chiave:
1. un punto percentuale di crescita del settore manifatturiero contribuisce per un quarto fino ad un terzo di punto percentuale di crescita del PIL.
2. Nonostante la deindustrializzazione, l’effetto della produzione sul PIL sostanzialmente non è cambiato. Per il Regno Unito, addirittura, l’effetto è più pronunciato attualmente che in passato.
“In base ai risultati, continuiamo a considerare gli sviluppi nel settore manifatturiero un indicatore faro per la crescita del PIL, poiché permettono di individuare i punti di svolta in un ciclo economico. Gli indicatori anticipatori dell’industria, come i noti indici PMI, offrono informazioni puntuali e di qualità sullo stato di un ciclo economico” sottolinea Yves Longchamp, secondo il quale la debole ripresa osservata in seguito alla crisi finanziaria globale può dunque essere parzialmente spiegata dalla ripresa modesta nel settore manifatturiero, che ha avuto come conseguenza una scarsità di investimenti. Specularmente, secondo il manager, un’accelerazione sostenibile della crescita potrebbe materializzarsi soltanto se il ciclo produttivo riprende slancio. Senza dimenticare, infine, che la Germania e la zona euro nel suo complesso sono più sensibili ai cicli produttivi rispetto all’economia statunitense.
La deindustrializzazione si è avviata negli Stati Uniti già negli anni Cinquanta, l’età dell’oro per la produzione manifatturiera che all’epoca concentrava un impiego su tre, mentre nel 2015 siamo a uno su undici. Tra i tanti fattori che hanno determinato questo trend si possono citare gli incrementi di produttività, l’automatizzazione industriale, i nuovi concorrenti globali come la Cina e la recente digitalizzazione.
“Nel corso degli ultimi cinque anni la tendenza al ribasso si è arrestata, il che suggerisce che la deindustrializzazione ha perso slancio” rivela Yves Longchamp che, inoltre, fa notare come nonostante la deindustrializzazione e le differenze tra di loro, le più importanti economie occidentali (zona euro, Francia, Germania, Italia, Giappone, Spagna, Svizzera, Regno Unito e USA) dimostrano che il settore manifatturiero conta eccome per la valutazione del ciclo economico. In particolare in tutte queste economie, le fasi espansive e negative del PIL sono strettamente collegate ai cicli produttivi. Ne deriva che, sebbene il settore manifatturiero sia relativamente contenuto rispetto all’economia nel suo complesso, rimane un rilevante fattore di oscillazione. Inoltre, durante le recessioni la correlazione cresce, il che dimostra che il ciclo produttivo è un canale di trasmissione potente nei periodi difficili.
Secondo Yves Longchamp si può giungere a due conclusioni chiave:
1. un punto percentuale di crescita del settore manifatturiero contribuisce per un quarto fino ad un terzo di punto percentuale di crescita del PIL.
2. Nonostante la deindustrializzazione, l’effetto della produzione sul PIL sostanzialmente non è cambiato. Per il Regno Unito, addirittura, l’effetto è più pronunciato attualmente che in passato.
“In base ai risultati, continuiamo a considerare gli sviluppi nel settore manifatturiero un indicatore faro per la crescita del PIL, poiché permettono di individuare i punti di svolta in un ciclo economico. Gli indicatori anticipatori dell’industria, come i noti indici PMI, offrono informazioni puntuali e di qualità sullo stato di un ciclo economico” sottolinea Yves Longchamp, secondo il quale la debole ripresa osservata in seguito alla crisi finanziaria globale può dunque essere parzialmente spiegata dalla ripresa modesta nel settore manifatturiero, che ha avuto come conseguenza una scarsità di investimenti. Specularmente, secondo il manager, un’accelerazione sostenibile della crescita potrebbe materializzarsi soltanto se il ciclo produttivo riprende slancio. Senza dimenticare, infine, che la Germania e la zona euro nel suo complesso sono più sensibili ai cicli produttivi rispetto all’economia statunitense.