Carlo Benetti
Alla ricerca di uno sviluppo economico più solidale
23 Dicembre 2015 11:07
storia dello sviluppo economico è storia di disuguaglianze. Eppure non è scritto sulla pietra che il mondo sia condannato ad essere così fortemente disuguale” afferma Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, nell’Alpha e il Beta del 21 dicembre all’interno de quale cita una metafora dell’economista Bernardo Bortolotti per fotografare l’attuale contesto: “È come essere in auto da otto anni con un navigatore che continua a ripetere che sta ricalcolando il percorso”.
Il periodo di sviluppo economico successivo alla seconda guerra mondiale, tra gli anni ’50 e la metà degli anni ’70, ha coinciso con la diminuzione delle disuguaglianze, l’allargamento della classe media, l’espansione dei consumi. In quegli anni la maggiore equità sociale andava di pari passo con il maggior benessere economico. Le condizioni di oggi, fa notare Carlo Benetti, sono invece radicalmente cambiate, la natura dei problemi è globale eppure le risposte sono ancora nazionali, parziali, per definizione inefficaci. Purtroppo, quello che sperimentiamo oggi non è solo l’assenza di un nuovo e sostenibile modello di sviluppo, avvertiamo anche lo sgretolamento sociale, le difficoltà di società sconnesse di cui l’economia è solo una delle manifestazioni. Negli ultimi anni la psicologia cognitiva, le neuroscienze, la finanza comportamentale hanno aperto a nuove interpretazioni delle relazioni economiche. Alla base del progresso c’è stata soprattutto la capacità degli uomini a comunicare e a cooperare, nel corso dei millenni l’umanità è cresciuta in empatia, cioè nella capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un'altra persona.
“Qualcosa si è spezzato” scrive Bortolotti “cioè il vincolo essenziale e umano di fairness (congruità); è la quintessenza della crisi di un paradigma dominante, di comportamenti individuali sbagliati che hanno portato al fallimento congiunto dello Stato e del mercato” (B. Bortolotti, Crescere insieme, Laterza 2103).
Bortolotti ha ragione, si può, si deve ripartire dal piccolo, dal particolare, dalla qualità delle relazioni quotidiane e da lì provare a riconnettere ciò che è sconnesso, a ricostituire quelle scorte di empatia di cui parla Adam Smith, il padre della scienza economica. Le vicende di molti risparmiatori che occupano le cronache in questi giorni gridano quanto sia necessario ripartire (anche) dal basso. La qualità delle relazioni professionali, la fiducia, la lealtà devono fare premio sui budget, sui condizionamenti più o meno mascherati.
“La vera sfida” dice sempre Bortolotti “è trasformare l’empatia in obiezione al sistema e alle logiche dominanti”. Come dire, in estrema sintesi, che sarà la sovrabbondanza di empatia a salvare il mondo, la sua mancanza a perderlo.
Il periodo di sviluppo economico successivo alla seconda guerra mondiale, tra gli anni ’50 e la metà degli anni ’70, ha coinciso con la diminuzione delle disuguaglianze, l’allargamento della classe media, l’espansione dei consumi. In quegli anni la maggiore equità sociale andava di pari passo con il maggior benessere economico. Le condizioni di oggi, fa notare Carlo Benetti, sono invece radicalmente cambiate, la natura dei problemi è globale eppure le risposte sono ancora nazionali, parziali, per definizione inefficaci. Purtroppo, quello che sperimentiamo oggi non è solo l’assenza di un nuovo e sostenibile modello di sviluppo, avvertiamo anche lo sgretolamento sociale, le difficoltà di società sconnesse di cui l’economia è solo una delle manifestazioni. Negli ultimi anni la psicologia cognitiva, le neuroscienze, la finanza comportamentale hanno aperto a nuove interpretazioni delle relazioni economiche. Alla base del progresso c’è stata soprattutto la capacità degli uomini a comunicare e a cooperare, nel corso dei millenni l’umanità è cresciuta in empatia, cioè nella capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un'altra persona.
“Qualcosa si è spezzato” scrive Bortolotti “cioè il vincolo essenziale e umano di fairness (congruità); è la quintessenza della crisi di un paradigma dominante, di comportamenti individuali sbagliati che hanno portato al fallimento congiunto dello Stato e del mercato” (B. Bortolotti, Crescere insieme, Laterza 2103).
Bortolotti ha ragione, si può, si deve ripartire dal piccolo, dal particolare, dalla qualità delle relazioni quotidiane e da lì provare a riconnettere ciò che è sconnesso, a ricostituire quelle scorte di empatia di cui parla Adam Smith, il padre della scienza economica. Le vicende di molti risparmiatori che occupano le cronache in questi giorni gridano quanto sia necessario ripartire (anche) dal basso. La qualità delle relazioni professionali, la fiducia, la lealtà devono fare premio sui budget, sui condizionamenti più o meno mascherati.
“La vera sfida” dice sempre Bortolotti “è trasformare l’empatia in obiezione al sistema e alle logiche dominanti”. Come dire, in estrema sintesi, che sarà la sovrabbondanza di empatia a salvare il mondo, la sua mancanza a perderlo.