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International Editor's Picks - 4 gennaio 2016

4 Gennaio 2016 10:33

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style="color: #4b72ab;">Bail in all’americana.

Funziona così: Fannie Mae e Freddie Mac, i colossi salvati da Washington durante la crisi dei subprime, si preparano a emettere nuovi tipi di bond, dentro ci sono sempre i mutui impacchettati, ma a differenza del 2007-08, quando queste securities erano etichettate tripla A, adesso invece trasferiscono su chi le detiene e perdite potenziali. Fannie e Freddie hanno creato due nuove entità dedicate all’emissione dei nuovi bond a rischio, la Connecticut Avenue Securities e la Structured Agency Credit Risk. Se il mutuatario smette di pagare, chi ha comprato il bond corrispondente può perdere in tutto o in parte il capitale, dipende dalla classe di rischio che è parametrata su un campione di debitori. In pratica, secondo quanto riporta il WSJ, un meccanismo simile al famigerato bail in. Ma a carte scoperte. Sono titoli a rischio, rendono fino a 7,55 punti percentuali sopra il tasso benchmark a breve, ma c’è scritto sopra

 

Il girone infernale delle commodities.

Il FT descrive in modo spietato la spirale in cui le materie prime si sono avvitate. Tutto comincia negli anni 90, quando una combinazione di prezzi bassi induce a ridurre gli investimenti in infrastrutture minerarie e di estrazione. Poi la domanda di risorse fa un balzo in avanti, i prezzi schizzano, e questo induce i produttori a investire pesantemente per aumentare la capacità. Ma la domanda rallenta, causa Cina, e intanto è entrata in gioco la finanza, che monetizza i futuri flussi di cassa tramite una serie di strumenti di debito che puntano a trarre beneficio dal trend dei prezzi in rialzo, facendo entrare nel gioco una nuova platea di investitori, che va ben oltre il tradizionale gioco di domanda e offerta. Risultato: quando i prezzi cominciano a puntare a Sud e bisognerebbe ridurre la produzione, invece succede il contrario e si estrae sempre di più per far fronte agli oneri relativi ai debiti contratti. Questo fa scendere ancora di più i prezzi e contrae i margini, costringendo ad aumentare ancora l’output. Un vero girone infernale.

 

Melissa, la coreana che batte gli hedge.

L’ha scoperta il WSJ, si chiama Melissa Ko, e quando è sbarcata in USA dalla Corea del Sud negli anni Novanta non parlava una parola di inglese. Ma capiva di numeri, tanto da guadagnarsi una laurea in matematica al Massachusetts Institute of Technology. Da Boston a Wall Street, dove diventa managing director a Bear Stearns e poi passa alla guida di Covepoint Capital Advisors, l’hedge fund di un family-office newyorkese specializzato nel trading in valute e tassi di interesse. Nell’anno che si è appena chiuso ha portato a casa un ritorno del 120% grazie a scommesse contro euro, dollaro australiano e real brasiliano. Siccome ha investito anche i suoi soldi nel fondo, Ko ha portato a casa a titolo personale $60 milioni, in un solo anno, innalzando la sua valutazione a sopra $100 milioni. Un risultato di tutto rispetto per il 2015, anno nel quale l’industria degli hedge fund in media ha riportato un meno 3,72%, secondo i dati pubblicati da Hedge Fund Research.

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