Arabia Saudita
International Editor’s Picks – 11 gennaio 2016
11 Gennaio 2016 09:10
style="color: #4b72ab;">Aramco, IPO del secolo o svendita per cessata attività?
Quasi tutti i media hanno accolto la notizia della possibile privatizzazione del colosso saudita del petrolio con toni positivi, soprattutto per la dimensione dell’operazione, destinata a dar vita alla più grande società quotata del pianeta. Ma per il commentatore di Bloomberg Liam Denning è invece una fire sale, una svendita totale. Perché? La prima considerazione è il timing: sarebbe stata una grande mossa con il petrolio a $140 dollari, con il barile a $30 sembra invece la mossa disperata di un regime sotto pressione su tutti i fronti: finanziario, politico e militare. E segnala anche che Riyadh si prepara a un periodo prolungato di prezzi bassi, se avesse in vista un rimbalzo avrebbe forse aspettato qualche mese per l’annuncio dato in pompa magna all’Economist. Ma alla fine della sua analisi, Denning arriva a una conclusione inattesa. E abbastanza preoccupante. Le strutture calcificate, come quella saudita, sono particolarmente vulnerabili quando tentano di riformarsi. Questo vuol dire che l’IPO di Aramco potrebbe essere destabilizzante per l’Arabia. E la destabilizzazione del primo produttore del mondo potrebbe far ripartire il prezzo del petrolio. Ma a che prezzo, è il caso di dirlo! Cigno nero in arrivo?
Ma viviamo ancora in America o ci siamo tutti trasferiti in Cina?
Se lo chiede Rick Newman su Yahoo Finance notando come Wall Street si lasci influenzare in modo disgustoso da indicatori economici “arcani”, come l’indice manifatturiero cinese o il valore di una moneta tutto sommato marginale come lo Yuan. Per arrivare alla conclusione che le sbandata conosciute dai mercati globali nella prima settimana di scambi del nuovo anno non sono reali, ma sono avvenute in un universo parallelo, dove i numeri veri, quelli dell’economia americana, non contano più. Ma, nota Newman, alla fine gli indici di Wall Street, che cadono come birilli sui dati cinesi, sono composti di titoli di aziende americane, che vendono i propri prodotti in America. E l’economia americana non sta andando poi così male: quest’anno dovrebbe crescere del 2,5%, mentre non mostra segni di surriscaldamento, il che indica che la ripresa continua a essere sostenibile. E le buone notizie non finiscono qui. Le imprese continuano a creare posti di lavoro, al ritmo di oltre 200.000 al mese, mentre i licenziamenti restano a livelli molto bassi, e questo sostiene la fiducia di lavoratori e consumatori. E le vendite di auto volano, toccando livelli record nell’anno appena concluso, indicando anche qui che i consumatori guardano al futuro con fiducia.
E intanto si allunga la lista dei miliardari che spariscono.
Si chiama Zhou Chengjian, ed è l’ultimo della lista delle scomparse misteriose che riguardano miliardari cinesi. Lo riporta Business Insider specificando che si tratta del presidente della casa di moda Metersbonwe, molto nota sul mercato interno di Pechino. Come negli altri casi, anche Metersbonwe ha sospeso la trattazione delle azioni dopo la sparizione del suo numero uno sullo Shenzhen Stock Exchange, comunicando che approfondirà i report giornalistici secondo cui Chengjian sarebbe stato prelevato dalla polizia e poi se ne sarebbero perse le tracce. Esattamente come era successo a dicembre a Chang Xiaobing, CEO del colosso China Telecom, riapparso dopo una misteriosa sparizione solo per dare le dimissioni. Metersbonwe successivamente ha anche reso noto di aver perso i contatti anche con il segretario del CdA, Tu Ke. L’ultimo scomparso, Zhou, è un signore che vale qualcosa come $2,4 miliardi, una fortuna costruita in fretta, non troppi anni fa era un sarto sconosciuto. L’anno scorso ben 36 corporation cinesi hanno denunciato la scomparsa di propri executives. Misteri cinesi.
Quasi tutti i media hanno accolto la notizia della possibile privatizzazione del colosso saudita del petrolio con toni positivi, soprattutto per la dimensione dell’operazione, destinata a dar vita alla più grande società quotata del pianeta. Ma per il commentatore di Bloomberg Liam Denning è invece una fire sale, una svendita totale. Perché? La prima considerazione è il timing: sarebbe stata una grande mossa con il petrolio a $140 dollari, con il barile a $30 sembra invece la mossa disperata di un regime sotto pressione su tutti i fronti: finanziario, politico e militare. E segnala anche che Riyadh si prepara a un periodo prolungato di prezzi bassi, se avesse in vista un rimbalzo avrebbe forse aspettato qualche mese per l’annuncio dato in pompa magna all’Economist. Ma alla fine della sua analisi, Denning arriva a una conclusione inattesa. E abbastanza preoccupante. Le strutture calcificate, come quella saudita, sono particolarmente vulnerabili quando tentano di riformarsi. Questo vuol dire che l’IPO di Aramco potrebbe essere destabilizzante per l’Arabia. E la destabilizzazione del primo produttore del mondo potrebbe far ripartire il prezzo del petrolio. Ma a che prezzo, è il caso di dirlo! Cigno nero in arrivo?
Ma viviamo ancora in America o ci siamo tutti trasferiti in Cina?
Se lo chiede Rick Newman su Yahoo Finance notando come Wall Street si lasci influenzare in modo disgustoso da indicatori economici “arcani”, come l’indice manifatturiero cinese o il valore di una moneta tutto sommato marginale come lo Yuan. Per arrivare alla conclusione che le sbandata conosciute dai mercati globali nella prima settimana di scambi del nuovo anno non sono reali, ma sono avvenute in un universo parallelo, dove i numeri veri, quelli dell’economia americana, non contano più. Ma, nota Newman, alla fine gli indici di Wall Street, che cadono come birilli sui dati cinesi, sono composti di titoli di aziende americane, che vendono i propri prodotti in America. E l’economia americana non sta andando poi così male: quest’anno dovrebbe crescere del 2,5%, mentre non mostra segni di surriscaldamento, il che indica che la ripresa continua a essere sostenibile. E le buone notizie non finiscono qui. Le imprese continuano a creare posti di lavoro, al ritmo di oltre 200.000 al mese, mentre i licenziamenti restano a livelli molto bassi, e questo sostiene la fiducia di lavoratori e consumatori. E le vendite di auto volano, toccando livelli record nell’anno appena concluso, indicando anche qui che i consumatori guardano al futuro con fiducia.
E intanto si allunga la lista dei miliardari che spariscono.
Si chiama Zhou Chengjian, ed è l’ultimo della lista delle scomparse misteriose che riguardano miliardari cinesi. Lo riporta Business Insider specificando che si tratta del presidente della casa di moda Metersbonwe, molto nota sul mercato interno di Pechino. Come negli altri casi, anche Metersbonwe ha sospeso la trattazione delle azioni dopo la sparizione del suo numero uno sullo Shenzhen Stock Exchange, comunicando che approfondirà i report giornalistici secondo cui Chengjian sarebbe stato prelevato dalla polizia e poi se ne sarebbero perse le tracce. Esattamente come era successo a dicembre a Chang Xiaobing, CEO del colosso China Telecom, riapparso dopo una misteriosa sparizione solo per dare le dimissioni. Metersbonwe successivamente ha anche reso noto di aver perso i contatti anche con il segretario del CdA, Tu Ke. L’ultimo scomparso, Zhou, è un signore che vale qualcosa come $2,4 miliardi, una fortuna costruita in fretta, non troppi anni fa era un sarto sconosciuto. L’anno scorso ben 36 corporation cinesi hanno denunciato la scomparsa di propri executives. Misteri cinesi.
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