fondamentali
International Editor’s Picks – 18 gennaio 2016
18 Gennaio 2016 10:35
style="color: #4b72ab;">Quel tipo di paura che fa salire i mercati.
Dire che i mercati non se la passano bene in questo inizio anno è una banalità. Scendono paralizzati dalla paura, soprattutto la paura di quello che non si sa. Non si sa cosa succederà in Cina, cosa accadrà al prezzo del petrolio, e via dicendo. Ma David Kelly, Chief global strategist di JP Morgan Funds, vede anche un altro tipo di paura, che potrebbe avere invece la forza di spingere gli indici verso l’alto. Parlando con Business Insider, la definisce la paura di perdersi qualcosa, di perdere il treno. E, si spinge a prevedere, questo tipo di paura è destinata a diventare molto forte nelle prossime settimane. Secondo Kelly è la stessa sindrome che ha colpito i mercati ad Agosto. Poi, quando si sono resi conto che le economie stavano andando tutto sommato bene, tutto è rientrato. Ora ci risiamo ma non può durare, la paura di perdere il treno diventerà troppo forte e farà da catalizzatore al rialzo. Secondo Kelly i fondamentali sono intatti, e nessuno vorrà perdere l’opportunità di portare a casa bei capital gain. Al punto in cui siamo, dice, per comprare non bisogna essere coraggiosi, basta essere logici.
Il prezzo del petrolio non incorpora più rischi geopolitici.
La rivoluzione americana dello shale oil ha letteralmente cancellato il rischio geo politico tra i fattori che concorrono alla formazione del prezzo del greggio. E questo spiega perché il prezzo del barile continua a scendere nonostante le tensioni crescenti nell’area del Golfo tra Arabia Saudita e Iran e più in generale in tutto il medio oriente. Lo sostiene su Seeking Alpha il professore di macro economia Mark J. Perry, secondo cui la flessibilità estrema dell’industria americana dello shale oil, capace di abbattere rapidamente produzione e investimenti per riprenderli altrettanto rapidamente, sia diventata un potentissimo fattore di stabilizzazione dei prezzi, una specie di ammortizzatore che neutralizza tutti i fattori legati alle tensioni geopolitiche che potrebbero causare strozzature nell’offerta. Per rafforzare la tesi che oggi il rischio geo-politico sia stato letteralmente cancellato dal mercato, Perry cita i prezzi dei futures a lungo termine sul petrolio: per trovare quotazioni sopra i $50 al barile bisogna andare sulle scadenze dopo metà del 2020. Questo vuol dire, secondo Perry, che il mercato non prezza il rischio geopolitico per i prossimi 5 anni.
Perseverare è diabolico ma non per Viking.
L’hedge fund guidato da Andreas Halvorsen che ha in gestione oltre 30 miliardi di dollari nel 2015 ha portato a casa un ritorno dell’8,3% contro una media del settore negativa di 3,5%. Non male, e se non fosse stato per l’investimento nella canadese Valeant Pharmaceuticals sarebbe andata ancora meglio. Viking è fortemente investita nel titolo, che nel quarto trimestre ne ha penalizzato a performance dell’1,6%. Ma, come riporta Business Insider, invece di liberarsi della zavorra Halvorsen insiste, e ha aumentato ancora la posizione su Valeant. Come tutti i broker sanno, fare le medie al ribasso è sbagliato e pericoloso. Evidentemente Viking ha le sue buone ragioni. Non ha mollato Valeant neanche quando sembrava essere incappata in uno scandalo che le aveva guadagnato il soprannome di Enron della farmaceutica provocando una caduta del titolo di oltre il 30% da ottobre. E oltretutto il CEO Pearson nello stesso periodo si è ammalato ed è finito in ospedale. Ma Viking pensa che Valeant sia in grado di respingere le accuse e ripartire alla grande.
Dire che i mercati non se la passano bene in questo inizio anno è una banalità. Scendono paralizzati dalla paura, soprattutto la paura di quello che non si sa. Non si sa cosa succederà in Cina, cosa accadrà al prezzo del petrolio, e via dicendo. Ma David Kelly, Chief global strategist di JP Morgan Funds, vede anche un altro tipo di paura, che potrebbe avere invece la forza di spingere gli indici verso l’alto. Parlando con Business Insider, la definisce la paura di perdersi qualcosa, di perdere il treno. E, si spinge a prevedere, questo tipo di paura è destinata a diventare molto forte nelle prossime settimane. Secondo Kelly è la stessa sindrome che ha colpito i mercati ad Agosto. Poi, quando si sono resi conto che le economie stavano andando tutto sommato bene, tutto è rientrato. Ora ci risiamo ma non può durare, la paura di perdere il treno diventerà troppo forte e farà da catalizzatore al rialzo. Secondo Kelly i fondamentali sono intatti, e nessuno vorrà perdere l’opportunità di portare a casa bei capital gain. Al punto in cui siamo, dice, per comprare non bisogna essere coraggiosi, basta essere logici.
Il prezzo del petrolio non incorpora più rischi geopolitici.
La rivoluzione americana dello shale oil ha letteralmente cancellato il rischio geo politico tra i fattori che concorrono alla formazione del prezzo del greggio. E questo spiega perché il prezzo del barile continua a scendere nonostante le tensioni crescenti nell’area del Golfo tra Arabia Saudita e Iran e più in generale in tutto il medio oriente. Lo sostiene su Seeking Alpha il professore di macro economia Mark J. Perry, secondo cui la flessibilità estrema dell’industria americana dello shale oil, capace di abbattere rapidamente produzione e investimenti per riprenderli altrettanto rapidamente, sia diventata un potentissimo fattore di stabilizzazione dei prezzi, una specie di ammortizzatore che neutralizza tutti i fattori legati alle tensioni geopolitiche che potrebbero causare strozzature nell’offerta. Per rafforzare la tesi che oggi il rischio geo-politico sia stato letteralmente cancellato dal mercato, Perry cita i prezzi dei futures a lungo termine sul petrolio: per trovare quotazioni sopra i $50 al barile bisogna andare sulle scadenze dopo metà del 2020. Questo vuol dire, secondo Perry, che il mercato non prezza il rischio geopolitico per i prossimi 5 anni.
Perseverare è diabolico ma non per Viking.
L’hedge fund guidato da Andreas Halvorsen che ha in gestione oltre 30 miliardi di dollari nel 2015 ha portato a casa un ritorno dell’8,3% contro una media del settore negativa di 3,5%. Non male, e se non fosse stato per l’investimento nella canadese Valeant Pharmaceuticals sarebbe andata ancora meglio. Viking è fortemente investita nel titolo, che nel quarto trimestre ne ha penalizzato a performance dell’1,6%. Ma, come riporta Business Insider, invece di liberarsi della zavorra Halvorsen insiste, e ha aumentato ancora la posizione su Valeant. Come tutti i broker sanno, fare le medie al ribasso è sbagliato e pericoloso. Evidentemente Viking ha le sue buone ragioni. Non ha mollato Valeant neanche quando sembrava essere incappata in uno scandalo che le aveva guadagnato il soprannome di Enron della farmaceutica provocando una caduta del titolo di oltre il 30% da ottobre. E oltretutto il CEO Pearson nello stesso periodo si è ammalato ed è finito in ospedale. Ma Viking pensa che Valeant sia in grado di respingere le accuse e ripartire alla grande.
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