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Bail-in, che cos’è e come funziona

12 Febbraio 2016 10:24

financialounge -  bail in PIMCO
ire dal 2008, in seguito alla crisi finanziaria il cui elemento scatenante (ma non la sola causa) fu il fallimento della Lehman Brothers, il sistema bancario ha attraversato un forte processo di ri-regolamentanzione in cui sono stati imposti minimi di capitale più alti e una migliore qualità del capitale che sia capace di assorbire effettivamente potenziali perdite.

Oggi le banche devono infatti mantenere un livello di capitale molto più elevato rispetto ai minimi richiesti dalla vecchia normativa di Basilea II. Per dare un’idea, il nuovo quadro normativo di Basilea III impone, alle banche sistemicamente importanti (ovvero il cui fallimento potrebbe provocare una crisi dell’intero sistema finanziario), un minimo di capitale (in rapporto all’attivo di bilancio) fra il 10 e il 12% rispetto al 2% (basato sulla metodologia di Basilea II) minimo imposto prima della crisi finanziaria. Il risultato è che le banche oggi sono molto più solide che in passato con una conseguente minore probabilità di fallimento: possono emettere  nuove strumenti ibridi, come le obbligazioni subordinate convertibili o “Contingent Convertible” (CoCos), che diventano capitale (azioni ordinarie) e/o assorbono direttamente potenziali perdite tramite write off nel caso in cui ci sia un deterioramento del cosiddetto Core Tier 1 ratio, il maggiore indicatore della solidità patrimoniale delle banche.

Tuttavia, se è vero che le banche oggi sono molto più ricapitalizzate e con un bilancio più solido, presentando quindi una probabilità di fallimento minore. È altrettanto vero che, nel caso in cui una banca dovesse entrare in crisi o addirittura fallire, saranno gli investitori, inclusi gli obbligazionisti, anziché i governi a pagare per le perdite subite. In questo senso le autorità hanno voluto applicare alle banche il principio già valido per le società non finanziarie, secondo il quale le perdite derivanti da un fallimento o da uno stato di crisi debbano essere sostenute dalle risorse interne aziendali, senza più fare riferimento ad una garanzia implicita dello stato.

Il pendolo regolamentare si sposta da un mondo di «bail out», in cui erano i governi ad intervenire e salvare le banche, a un mondo di «bail-in», in cui sono gli investitori interni alla banca a sopportare il costo di una potenziale crisi. Infatti la procedura di bail-in prevede che le perdite di una banca vengano assorbite in prima istanza dagli azionisti, quindi dagli investitori in obbligazioni convertibili e per ultimo, nel caso in cui una banca dovesse effettivamente entrare in stato di insolvenza e quindi in risoluzione, anche dagli investitori in titoli senior unsecured, ovvero non garantiti.

Il principio chiave del bail-in è che i detentori degli strumenti finanziari a più alto grado di rischio partecipino in misura maggiore all’eventuale risanamento: gli azionisti sono dunque i primi a contribuire, seguiti dagli investitori in CoCos, obbligazioni subordinate e senior in ultima istanza. Gli unici investitori esclusi dal bail-in sono i correntisti con depositi inferiori ai 100 mila euro e gli investitori in titoli senior secured (covered bonds).

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