Carlo Benetti

Il difficile compromesso tra dollaro, yen, euro e renminbi

25 Febbraio 2016 09:47

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grande attesa per la riunione del G20 in programma a Shanghai a fine mese in particolare per quanto riguarda un possibile accordo sulle politiche dei cambi. Ma per Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, non sembrano esserci molte speranze in tal senso: “Meglio non nutrire eccessivo ottimismo sulle deliberazioni finali del prossimo G20 che si risolverà, probabilmente, in un’ulteriore occasione perduta. Le rituali raccomandazioni finali a non manipolare le valute in funzione competitiva non arresteranno la volatilità nel mercato dei cambi e resterà elevata la dispersione dei rendimenti tra le valute (anche emergenti)” fa sapere, nell’Alpha e iI Beta del 22 febbraio, il manager che, nella sua consueta analisi settimanale, parte dalla constatazione di come l’agenda di problemi sul tavolo dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali sia piuttosto fitta: anni di attività economica modesta, stime di crescita del 2016 riviste al ribasso, economie emergenti alle prese con debito eccessivo, valute indebolite, crescita fiacca.

C’è la Cina, seconda economia mondiale, che continua ad essere motivo di incertezza, e poi il debito globale, pubblico e privato. Insomma, le forze che concorrono (non cospirano…) ad allontanare gli obiettivi di inflazione delle banche centrali. Da una parte c’è il desiderio di indebolire il dollaro: in termini ponderati il biglietto verde si è apprezzato di circa il 25% da metà 2014, ha reso la vita difficile agli esportatori americani, peggiorato i conti delle società con forte presenza internazionale, contribuito all’indebolimento dei prezzi delle materie prime mantenendo vivo sotto la cenere il fuoco della deflazione. Dall’altra parte, anzi da entrambe le parti dei due oceani, non si vuole l’apprezzamento dell’euro e dello yen, che renderebbe le cose ancora più complicate alle banche centrali di Europa e Giappone. Obiettivi evidentemente inconciliabili in un gioco a somma zero, l’indebolimento di una valuta si specchia nell’apprezzamento dell’altra.

Poi c’è la Cina e il suo renmimbi. “Corporate China” compete con i suoi rivali diretti nella regione nel produrre manufatti a basso costo ed esportarli nel resto del mondo. Il renminbi segue i movimenti del dollaro americano, l’apprezzamento del biglietto verde, seguito quasi a ruota dal biglietto con l’effige di Mao, ha reso più cari i beni cinesi in relazione a quelli della Corea del Sud o del Giappone. Il repentino mutamento delle autorità cinesi in merito alla disciplina valutaria dello scorso agosto ha aumentato l’incertezza e fomentato i dubbi che le autorità cinesi vogliano usare la svalutazione come leva per mitigare il rallentamento economico.

Dal 2005 la valuta cinese si è via via apprezzata e, nell’ultimo periodo indebolita solo in parte (1.3% da inizio anno). Un renmimbi debole aumenterebbe a sua volta la pressione su euro e yen. Le tre valute da una parte, il dollaro americano dall’altra: politiche monetarie divergenti che riflettono cicli economici e destini valutari divergenti. Uno scenario complesso nel quale, infine, Carlo Benetti evidenzia un altro punto critico: la minore capacità di reazione delle banche centrali.

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