Christophe Donay

I tassi d’interesse negativi fanno precipitare i mercati

8 Marzo 2016 09:44

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balzo dei mercati duraturo richiederà importanti cambiamenti di politica economica. A sostenerlo è Christophe Donay, Responsabile dell’asset allocation e della ricerca macroeconomica Pictet Wealth Management, secondo il quale i tassi d’interesse negativi fanno precipitare i mercati.

“L’adozione di tassi d’interesse negativi da parte della Bank of Japan (BoJ) e della Banca centrale europea (BCE) ha avuto un ruolo essenziale nel determinare le turbolenze sui mercati, influendo negativamente sulla redditività delle banche, creando rischi per il ciclo creditizio e facendo riemergere i timori in merito alla deflazione” afferma infatti il manager.

Sebbene le intenzioni iniziali fossero lodevoli (riflazionare le economie stimolando l’erogazione di prestiti) , l’adozione di tassi d’interesse negativi da parte della BoJ e della BCE ha prodotto risultati esattamente opposti. I mercati azionari in Europa e Giappone hanno reagito bruscamente: l’ondata di vendite sui mercati azionari ha raggiunto il suo culmine proprio quando i tassi d’interesse sono stati spinti decisamente in territorio negativo. Il punto di rottura per le azioni europee è stato il 3 dicembre 2015 mentre per le azioni giapponesi, è stato il 29 gennaio 2016: i crolli accelerati dei titoli finanziari hanno coinciso esattamente con queste due date.

L’impatto dei tassi d’interesse negativi potrebbe frenare il ciclo creditizio e persino provocarne una inversione. Le aspettative di Pictet circa una crescita del PIL in termini reali del 2% negli Stati Uniti e dell’1,8% nell’eurozona quest’anno si basano sull’ipotesi di una continua accelerazione della concessione di prestiti da parte delle banche. Ma un rallentamento non può più essere escluso.

Che cosa serve per un rimbalzo non effimero dei mercati? Una qualche evidenza di almeno uno di questi tre ampi cambiamenti potrebbe dare il via a un rally sostenuto:

1) un ritorno duraturo del prezzo del petrolio intorno a 45/50 dollari per barile farebbe salire l’inflazione e diminuire i rischi di default per le imprese del settore dell’energia. Ma la produzione giornaliera dovrà scendere intorno a 1,5 milioni di barile per ritrovare un equilibrio tra l’offerta e la domanda, cosa che richiederà diversi mesi;

2) una inversione delle politiche monetarie da parte delle banche centrali delle economie sviluppate, e che includa il ritorno in territorio positivo per i tassi d’interesse a breve termine della BCE e della BoJ: un cambiamento che, almeno nel breve termine, sembra piuttosto improbabile;

3) un nuovo forte mix di politica economica, che includa una componente fiscale, per aggredire le pressioni deflazionistiche nel mondo sviluppato. Un contributo potrebbe arrivare dalla cooperazione internazionale ma come si è consta tatto dalla riunione del G20 del 26/27 febbraio nessun cambiamento in tal senso sembra imminente.

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