International Editor's Picks

International Editor’s Picks – 14 marzo 2016

14 Marzo 2016 09:40

financialounge -  International Editor's Picks liquidità p/e Wall Street
style="color: #4b72ab;">È uno dei dogmi di Wall Street, guardare il p/e
Il rapporto tra utili attesi e prezzi correnti delle azioni sul mercato è l’indicatore che la dice più lunga di tutti sul fatto che i prezzi siano a buon mercato, e quindi da comprare, o troppo alti, quindi da vendere. Applicare il principio del p/e è semplicissimo. Si guarda quello attuale, di solito sullo S&P 500, poi si guarda la media storica di lungo periodo. La teoria è che il livello dei p/e “deve” riportarsi prima o poi sulla media storica. Se è troppo sopra bisogna vendere, se troppo sotto comprare. John Silvia di Wells Fargo non la pensa così, e ha spiegato perchè su Yahoo Finance. Prima di tutto non ci sono evidenze statistiche che il p/e si riporti necessariamente sulla media. La media non è come la forza di gravità. Ogni ciclo ha il suo driver per i p/e. Negli anni 70 erano inflazione e shock petroliferi, che li spingevano al ribasso. Negli anni 80 bassa inflazione e bassi tassi li spingevano al rialzo. Conclusione: il movimento del p/e è semplicemente caotico, e non può essere previsto.

Attenzione, terza onda in arrivo
La confusione regna sul mercato azionario. Dopo la peggior partenza d’anno di sempre alimentata da timori di recessione ora è rally. Secondo Peter Oppenheimer, chief global equity strategist di Goldman Sachs, queste brusche sterzate hanno una ragione, che si chiama “terza ondata” della crisi finanziaria. Lo strategist ha spiegato che questa terza onda è fatta da due traiettorie opposte. Da un lato aggressiva deflazione con conseguenti risposte di politica monetaria. Dall’altro le economie emergenti che potrebbero tornare in equilibrio e dar vita a una ripresa globale sostenibile. Il mercato non sa scegliere tra le due prospettive e dà vita a violente oscillazioni. Insieme a queste, si assiste a rotazioni altrettanto violente. Secondo Oppenheimer il dilemma non sarà sciolto troppo presto, e dovremo abituarci a convivere per un po’ con queste brusche sterzate determinate dall’alternarsi di ottimismo e pessimismo.

Attenzione, la cassa è vuota
Era la regola d’oro del fund manager: non essere mai investito al 100 per 100. Avere sempre una quota di cash nella propria asset allocation per poter trarre vantaggio da improvvise sbandate del mercato, ed entrare ai minimi. Ora Jason Zweig sul Wall Street Journal Lancia l’allarme, i fondi a gestione attiva in America non hanno mai avuto così poca cassa per approfittare delle buone occasioni. Da un certo punto di vista è anche comprensibile. Dopo sette anni di Toro (il compleanno è caduto il 9 marzo) chi ha tenuto una quota di cash non ha fatto un affare, ha semplicemente visto ridotta la propria perfomance media rispetto a chi era completamente investito. E poi i fondi passivi hanno fatto il resto, zero commissioni e guadagno quasi sicuro, dato che il mercato va in una sola direzione, Nord. La mancanza di cash può essere anche una delle cause delle violente oscillazioni degli ultimi sei mesi. Di fronte a cadute improvvise non ci sono i soldi in panchina per entrare, e uno storno può diventare una caduta violenta. Nel 2009 oltre il 4 per cento dei fondi azionari USA detenevano almeno un quarto dei propri asset in cash, oggi siamo all’1,6 per cento, avverte Zweig. Quando ci sarà il prossimo crash di mercato, e prima o poi certamente che ne sarà uno, in molti realizzeranno quanto sia scomodo non avere una riserva di cash.

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