car sharing

International Editor’s Picks – 29 marzo 2016

29 Marzo 2016 09:45

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style="color: #4b72ab;">Ci sono investitori così preoccupati di un capitombolo di Wall Street che vanno a proteggersi con strumenti particolarmente costosi, dove la perdita è garantita o quasi. Lo scrivono Ben Eisen e Saumya Vaishampayan sul Wall Street Journal citando il record di dollari affluiti negli ultimi due mesi su una categoria di ETF il cui valore aumenta se l’indice della paura, il CBOE Volatility Index, sale. Si tratta quasi sempre di prodotti a leva che in effetti possono produrre forti guadagni in caso di collasso dei prezzi sull’azionario, ma per la gran parte degli analisti costituiscono soprattutto una ricetta quasi infallibile per perdere quattrini. La forte domanda di questi prodotti indica che molti investitori si stanno posizionando in vista di un possibile rovesciamento delle sorti di Wall Street, dopo che sia il Dow Jones che lo S&P 500 hanno recuperato oltre l’11% da metà febbraio, facendo subire un forte ribasso al VIX.

Anche Ford si converte al car sharing. Vendere auto è un grande business, ma ce n’è uno ancora più grande, i servizi di trasporto, come taxi, navette e car sharing. E noi non ci siamo. Lo ha detto al New York Auto Show il CEO di Ford CEO Mark Fields parlando con Yahoo Finance aggiungendo che ora comincerà a guardare il car sharing come una “grande opportunità.” Infatti Ford ha messo in piedi una nuova divisione “mobility” per studiare possibilità di crescita oltre la produzione e la vendita di auto. Trasporti come servizio, insomma. Ford non è la prima a muoversi. Il suo rivale di sempre, General Motors, ha comprato la tecnologia del servizio di car sharing Sidecar, dopo il fallimento, investendo inoltre $500 milioni in Lyft, una società nata nella scia di Uber a cui GM fornirà auto per i suoi autisti cominciando da alcune città. Insomma, i grandi produttori si stanno muovendo non solo sul fronte delle auto che si guidano da sole, ma anche su quello della sharing economy. Due business che potrebbero presto convergere.

La bomba a orologeria del debito petrolifero. A lanciare l’allarme è Thestreet.com secondo cui la sovra capacità di raffinazione resterà un problema per i prossimi 5 anni e se non arriva un recupero dei prezzi del petrolio sarà un disastro per i produttori, soprattutto americani, che andranno incontro a una serie di fallimenti che a loro volta faranno vittime soprattutto tra le banche. Thestreet cita analisti secondo cui almeno 500 società energetiche sono destinate al fallimento del 2016 dal momento che non riescono più a onorare i debiti contratti. E aggiunge che il numero di prestiti a rischio di default concessi al settore potrebbe salire quest’anno del 50%. Il sito calcola che il debito totale del settore oil & gas abbia raggiunto nel 2014 i 3 trilioni di dollari, circa tre volta il livello del 2006.

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