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Debito emergente, ora è più conveniente quello in dollari

19 Aprile 2016 10:01

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one dell’esposizione al debito emergente in valuta locale a livello neutrale in seguito alla consistente performance, e contestuale incremento dell’investimento nel debito emergente in dollari, assumendo un sovrappeso.

È una delle principali decisioni adottate in marzo dalla Pictet Asset Management Strategy Unit (PSU), il gruppo di investimento responsabile delle linee guida di asset allocation in ambito azionario e obbligazionario, nonché in materia di valute e di commodity. Una decisione maturata in base al fatto che le obbligazioni sovrane dei Paesi in via di sviluppo in USD appaiono interessanti, soprattutto nei confronti del segmento corporate investment grade. I titoli governativi emergenti con rating BBB e i bond societari di qualità analoga offrono un potenziale di incremento dei rendimenti rispetto ai Treasury USA pressoché identico (+250 punti base circa, cioè il 2,5% in più). Tale spread (differenziale di rendimento rispetto ai titoli di stato USA), giustificabile per le obbligazioni corporate, appare per gli esperti della PSU eccessivo per le emissioni sovrane, essenzialmente perché non tiene conto della capacità dei governi di ridurre il debito in dollari e finanziarsi in valuta locale.

“La decisione di ridimensionare l’esposizione al debito sovrano emergente in valuta locale deriva dal nostro giudizio sul dollaro USA. Nel breve periodo il biglietto verde, in calo di circa il 6% dai picchi di gennaio rispetto alle principali divise, potrebbe invertire la rotta, con ripercussioni negative sulle valute dei Paesi in via di sviluppo” spiegano i professionisti della PSU che, sul debito high yield statunitense, hanno deciso di conservare il sovrappeso.

Nonostante il forte rally del mercato, l’asset class si conferma, per la PSU, conveniente. Gli spread di circa 700 punti base (+7,0%) indicano infatti una probabilità di recessione degli USA nei prossimi 12 mesi di quasi il 70%, che per gli esperti della PSU è assoluta¬mente esagerata. Secondo Moody’s i tassi di default dell’asset class si attestano al di sotto della media (3,6%), vale a dire che i differenziali di rendimento compensano ampiamente i rischi, anche se la solidità finanziaria delle società energetiche, che rappresentano una grossa fetta del mercato, continuerà a peggiorare nei prossimi trimestri.

“Le emissioni governative ci sembrano poco convenienti, dati i rendimenti ai minimi storici. Stando all’indice JP Morgan, a fine marzo il rendimento dell’asset class si attestava ad appena l’1,1%, un livello eccessivamente basso in un momento in cui la crescita economica nominale sembra stabilizzarsi” fanno sapere dalla PSU che, nonostante questo, ha deciso, temendo una possibile deflazione, di investire tatticamente nei bond governativi statunitensi a lungo termine che dovrebbero proteggere il portafoglio da un improvviso calo dell’inflazione. Secondo i professionisti della PSU, infatti, i Treasury USA a 30 anni offrono un buon extra rendimento: circa 80 punti base (+0,8%) in più rispetto ai titoli decennali, vale a dire uno spread che supera di 30 punti base (lo 0,3%) la media di lungo periodo.

Per quanto riguarda infine il posizionamento sul fronte valutario, la PSU ha optato per una riduzione a peso neutrale dell’euro ritenendo la moneta unica europea candidata a perdere terreno contro il dollaro qualora i sondaggi evidenziassero la propensione dei cittadini inglesi a votare l’uscita dall’UE.

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