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Mercati emergenti, perché serve un gestore professionale
27 Aprile 2016 09:47
pazienza, un lungo periodo di tempo per raccogliere i frutti e una buona tolleranza alle brusche oscillazioni dei corsi, soprattutto nelle valute locali. Sono questi i tre indispensabili atteggiamenti che il risparmiatore deve soddisfare quando intenda investire nei mercati emergenti.
A ricordarlo, nell’Alpha e iI Beta del 25 aprile, Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, che ammette un cauto ottimismo in funzione delle valutazioni, arrivate a livelli estremamente bassi, e del sottopeso dell’asset class pressoché in tutti i portafogli. Ma occorre comunque evitare il pericoloso fai da te e ricorrere ai gestori professionali in grado di sfruttare le tante potenzialità dei mercati emergenti senza esporsi a rischi eccessivi.
“Il Brasile è uno dei pochi paesi dell’America Latina in cui le esportazioni stanno aumentando” fa presente Enzo Puntillo di GAM che poi spiega: “Il Paese sudamericano è attualmente uno dei nostri trade preferiti, l’incertezza politica attorno all’impeachment della presidente Rousseff resta un rischio eppure non vediamo spazi per significativi, ulteriori peggioramenti”. A questo si aggiunge il momentum economico. In GAM i manager sono dell’avviso che demografia, bassa produttività e livelli di debito ancora elevati continueranno a essere ostacolo ad una crescita globale più forte. Nell’equazione entrano anche i prezzi delle materie prime, petrolio soprattutto, la cui stabilizzazione è un ulteriore tessera del mosaico. Il rischio di un re-pricing in funzione delle future mosse della Federal Reserve impongono in ogni caso attenzione e selettività, con la preferenza per le emissioni in valuta forte. “Lasciare al gestore specialista la responsabilità delle preferenze relative e della selezione dei paesi (e dei settori, delle valute, dei singoli titoli) è naturalmente l’irrinunciabile presupposto per investire in questa classe di attivo” conclude Carlo Benetti.
L’umore è cambiato nelle ultime settimane, le parole della Yellen hanno confermato l’attenzione della banca centrale americana agli equilibri globali, la corsa del dollaro si è arrestata, il prezzo del petrolio stabilizzato, rientrati i timori sull’hard landing cinese e sul renmimbi, dallo scorso agosto al centro delle preoccupazioni del mercato. Gli investitori sono tornati a valutare positivamente le governance migliorate negli anni, le accresciute riserve valutarie, insomma quei fattori che rendono meno probabili le crisi violente che hanno segnato gli anni ’80 e ‘90. Le riserve del tribolato Brasile sono aumentate dal 5% del PIL nel 2000 a circa il 20%, la Cina siede comoda su oltre 3.3 trilioni di dollari anche a seguito della costosa difesa del renmimbi la scorsa estate, molti paesi hanno accettato una maggiore flessibilità del cambio, un ammortizzatore che entra in funzione nelle fasi di ciclo negativo aiutando le esportazioni. In tutti i paesi emergenti resta formidabile la necessità di infrastrutture che solo in Asia valgono 800 miliardi di dollari all’anno, aprendo enormi prospettive per la neocostituita banca delle infrastrutture, l’AIIB.
A ben vedere, le ragioni per guardare con favore alle aree emergenti sono sempre le medesime, eppure prima di cedere all’entusiasmo è opportuno ricordare un paio di cose. La prima riguarda l’atteggiamento dell’investitore in un’area che esige pazienza, lungo periodo e buona tolleranza alle brusche oscillazioni dei corsi, soprattutto nelle valute locali.
Prendiamo ad esempio la Cina. Gli scossoni dei mesi scorsi sono stati utile monito per il governo cinese che ha affinato le proprie capacità di risposta e modulato l’accompagnamento alla transizione strutturale del sistema economico con l’aumento del deficit dal 2% al 3%, apprezzata dimostrazione di flessibilità. Un altro esempio è l’andamento del rublo: tra il 2014 e il 2015 la crisi ucraina e il prezzo del petrolio hanno fatto perdere alla valuta russa qualcosa come il 60% contro dollaro. Terreno recuperato nel corso del 2015 e in parte nuovamente ceduto nelle ultime settimane.
Movimenti che non dovrebbero suonare come novità a risparmiatori che negli anni hanno già sperimentato le emozioni dei violenti sbalzi delle valute emergenti. Gli ultimi due anni non sono molto diversi dal 1997, quando la crisi delle Tigri Asiatiche fece perdere a quelle valute circa il 30%, recuperato nel corso del 1998. Stesso copione per l’Argentina del 2001, episodio dal valore didattico poiché ha colpito dolorosamente anche una parte del risparmio italiano. L’elevato debito pubblico e la crisi economica avevano reso insostenibile il vincolo di cambio del peso argentino con il dollaro, la corsa agli sportelli costrinse il governo a lasciare fluttuare il cambio. Il default polverizzò miliardi di dollari e l’avvio di contenziosi con gli investitori che dopo quindici anni stanno venendo ad una risoluzione in queste settimane. Eppure le misure drastiche che vennero introdotte e i tassi a tre cifre premiarono quegli investitori audaci del marzo 2002 (è il caso di notare che si trattava di soli gestori professionali?) che videro raddoppiare l’investimento in dollari nel giro di qualche mese.
Tornando al Brasile, “è uno dei pochi paesi dell’America Latina in cui le esportazioni stanno aumentando” annota Enzo Puntillo di GAM “il Brasile è attualmente uno dei nostri trade preferiti, l’incertezza politica attorno all’impeachment della presidente Rousseff resta un rischio eppure non vediamo spazi per significativi, ulteriori peggioramenti”. Un’ultima annotazione riguarda il momentum economico. In GAM siamo dell’avviso che demografia, bassa produttività e livelli di debito ancora elevati continueranno a essere ostacolo ad una crescita globale più forte. Nell’equazione entrano anche i prezzi delle materie prime, petrolio soprattutto, la cui stabilizzazione è un ulteriore tessera del mosaico.
Il rischio di un re-pricing in funzione delle future mosse della Federal Reserve impongono in ogni caso attenzione e selettività, con la preferenza per le emissioni in valuta forte. Lasciare al gestore specialista la responsabilità delle preferenze relative e della selezione dei paesi (e dei settori, delle valute, dei singoli titoli) è naturalmente l’irrinunciabile presupposto per investire in questa classe di attivo.
A ricordarlo, nell’Alpha e iI Beta del 25 aprile, Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, che ammette un cauto ottimismo in funzione delle valutazioni, arrivate a livelli estremamente bassi, e del sottopeso dell’asset class pressoché in tutti i portafogli. Ma occorre comunque evitare il pericoloso fai da te e ricorrere ai gestori professionali in grado di sfruttare le tante potenzialità dei mercati emergenti senza esporsi a rischi eccessivi.
“Il Brasile è uno dei pochi paesi dell’America Latina in cui le esportazioni stanno aumentando” fa presente Enzo Puntillo di GAM che poi spiega: “Il Paese sudamericano è attualmente uno dei nostri trade preferiti, l’incertezza politica attorno all’impeachment della presidente Rousseff resta un rischio eppure non vediamo spazi per significativi, ulteriori peggioramenti”. A questo si aggiunge il momentum economico. In GAM i manager sono dell’avviso che demografia, bassa produttività e livelli di debito ancora elevati continueranno a essere ostacolo ad una crescita globale più forte. Nell’equazione entrano anche i prezzi delle materie prime, petrolio soprattutto, la cui stabilizzazione è un ulteriore tessera del mosaico. Il rischio di un re-pricing in funzione delle future mosse della Federal Reserve impongono in ogni caso attenzione e selettività, con la preferenza per le emissioni in valuta forte. “Lasciare al gestore specialista la responsabilità delle preferenze relative e della selezione dei paesi (e dei settori, delle valute, dei singoli titoli) è naturalmente l’irrinunciabile presupposto per investire in questa classe di attivo” conclude Carlo Benetti.
L’umore è cambiato nelle ultime settimane, le parole della Yellen hanno confermato l’attenzione della banca centrale americana agli equilibri globali, la corsa del dollaro si è arrestata, il prezzo del petrolio stabilizzato, rientrati i timori sull’hard landing cinese e sul renmimbi, dallo scorso agosto al centro delle preoccupazioni del mercato. Gli investitori sono tornati a valutare positivamente le governance migliorate negli anni, le accresciute riserve valutarie, insomma quei fattori che rendono meno probabili le crisi violente che hanno segnato gli anni ’80 e ‘90. Le riserve del tribolato Brasile sono aumentate dal 5% del PIL nel 2000 a circa il 20%, la Cina siede comoda su oltre 3.3 trilioni di dollari anche a seguito della costosa difesa del renmimbi la scorsa estate, molti paesi hanno accettato una maggiore flessibilità del cambio, un ammortizzatore che entra in funzione nelle fasi di ciclo negativo aiutando le esportazioni. In tutti i paesi emergenti resta formidabile la necessità di infrastrutture che solo in Asia valgono 800 miliardi di dollari all’anno, aprendo enormi prospettive per la neocostituita banca delle infrastrutture, l’AIIB.
A ben vedere, le ragioni per guardare con favore alle aree emergenti sono sempre le medesime, eppure prima di cedere all’entusiasmo è opportuno ricordare un paio di cose. La prima riguarda l’atteggiamento dell’investitore in un’area che esige pazienza, lungo periodo e buona tolleranza alle brusche oscillazioni dei corsi, soprattutto nelle valute locali.
Prendiamo ad esempio la Cina. Gli scossoni dei mesi scorsi sono stati utile monito per il governo cinese che ha affinato le proprie capacità di risposta e modulato l’accompagnamento alla transizione strutturale del sistema economico con l’aumento del deficit dal 2% al 3%, apprezzata dimostrazione di flessibilità. Un altro esempio è l’andamento del rublo: tra il 2014 e il 2015 la crisi ucraina e il prezzo del petrolio hanno fatto perdere alla valuta russa qualcosa come il 60% contro dollaro. Terreno recuperato nel corso del 2015 e in parte nuovamente ceduto nelle ultime settimane.
Movimenti che non dovrebbero suonare come novità a risparmiatori che negli anni hanno già sperimentato le emozioni dei violenti sbalzi delle valute emergenti. Gli ultimi due anni non sono molto diversi dal 1997, quando la crisi delle Tigri Asiatiche fece perdere a quelle valute circa il 30%, recuperato nel corso del 1998. Stesso copione per l’Argentina del 2001, episodio dal valore didattico poiché ha colpito dolorosamente anche una parte del risparmio italiano. L’elevato debito pubblico e la crisi economica avevano reso insostenibile il vincolo di cambio del peso argentino con il dollaro, la corsa agli sportelli costrinse il governo a lasciare fluttuare il cambio. Il default polverizzò miliardi di dollari e l’avvio di contenziosi con gli investitori che dopo quindici anni stanno venendo ad una risoluzione in queste settimane. Eppure le misure drastiche che vennero introdotte e i tassi a tre cifre premiarono quegli investitori audaci del marzo 2002 (è il caso di notare che si trattava di soli gestori professionali?) che videro raddoppiare l’investimento in dollari nel giro di qualche mese.
Tornando al Brasile, “è uno dei pochi paesi dell’America Latina in cui le esportazioni stanno aumentando” annota Enzo Puntillo di GAM “il Brasile è attualmente uno dei nostri trade preferiti, l’incertezza politica attorno all’impeachment della presidente Rousseff resta un rischio eppure non vediamo spazi per significativi, ulteriori peggioramenti”. Un’ultima annotazione riguarda il momentum economico. In GAM siamo dell’avviso che demografia, bassa produttività e livelli di debito ancora elevati continueranno a essere ostacolo ad una crescita globale più forte. Nell’equazione entrano anche i prezzi delle materie prime, petrolio soprattutto, la cui stabilizzazione è un ulteriore tessera del mosaico.
Il rischio di un re-pricing in funzione delle future mosse della Federal Reserve impongono in ogni caso attenzione e selettività, con la preferenza per le emissioni in valuta forte. Lasciare al gestore specialista la responsabilità delle preferenze relative e della selezione dei paesi (e dei settori, delle valute, dei singoli titoli) è naturalmente l’irrinunciabile presupposto per investire in questa classe di attivo.