Enzo Puntillo
Tassi negativi, più anni per la pensione integrativa
30 Maggio 2016 09:30
maggio le statistiche di una società di analisi specializzata ha calcolato che l’ammontare dei titoli di stato della zona euro con un rendimento negativo era pari a 2.622 miliardi di euro, cioè il 46,67% del totale di tutti i governativi di eurolandia (pari a 5.620 euro). Anche in Italia, che pure è l’emittente con la percentuale più bassa in questo speciale segmento di titoli, i buoni del Tesoro con tassi di interesse in rosso ammontano al 22% circa del totale.
Si tratta di un fenomeno che preoccupa il management delle banche, che vede ridursi ai minimi termini i margini tra tassi attivi e tassi passivi, ed allarma le compagnie di assicurazione, che hanno ingenti difficoltà a garantire la sostenibilità degli impegni versi gli assicurati. Ma c’è un’altra implicazione e riguarda i sottoscrittori di fondi pensione e polizze per la pensione integrativa.
“È interessante notare come l’altra faccia della medaglia di un contesto di rendimenti continuamente bassi o negativi sia rappresentata dall’indesiderato effetto collaterale per il quale i risparmiatori sono forzati a risparmiare ancora di più, per raggiungere per esempio i propri obiettivi di pensionamento. Perciò, l’obiettivo originale della Fed (e anche della BCE, ndr) di spingere gli individui a spendere e consumare di più, visti i limitati interessi che ricevono sui risparmi bancari, sta cominciando ad avere l’effetto contrario” sottolinea Enzo Puntillo, Responsabile delle strategie obbligazionarie di GAM.
Un esempio può agevolare la comprensione di questo impatto. Ipotizziamo che un lavoratore dipendente che oggi abbia 28 anni e che guadagni 1.500 euro al mese (18 mila euro all’anno). Immaginiamo che aderisca ad un fondo pensione versando il 2% del proprio reddito, e il TFR che matura anno per anno: un altro 2% viene versato dal datore di lavoro nel fondo pensione. Se la crescita della propria retribuzione è pari al tasso di inflazione (fissato per esempio all’1,50% all’anno) e il rendimento del fondo pensione fosse del 3% all’anno, maturerebbe una rendita finale dopo 40 anni di 9.194 euro che equivarrebbero al 28,6% dell’ultima retribuzione (cresciuta nel frattempo fino a 32.170 euro all’anno). Se il tasso di interesse del fondo pensione fosse limitato al 2% all’anno (per effetto dei prossimi anni con i tassi di mercato a zero e negativi) dopo 40 anni la rendita maturata sarebbe limitata a 7.543 euro (ovvero il 23,4% dell’ultima retribuzione). Per arrivare alla stessa copertura garantita dal tasso di interesse del 3% del fondo in 40 anni (cioè il 28,6% dell’ultima retribuzione), un rendimento del 2% richiederebbe 48 anni di versamenti, ovvero altri otto anni in più di attività per il lavoratore.
Si tratta di un fenomeno che preoccupa il management delle banche, che vede ridursi ai minimi termini i margini tra tassi attivi e tassi passivi, ed allarma le compagnie di assicurazione, che hanno ingenti difficoltà a garantire la sostenibilità degli impegni versi gli assicurati. Ma c’è un’altra implicazione e riguarda i sottoscrittori di fondi pensione e polizze per la pensione integrativa.
“È interessante notare come l’altra faccia della medaglia di un contesto di rendimenti continuamente bassi o negativi sia rappresentata dall’indesiderato effetto collaterale per il quale i risparmiatori sono forzati a risparmiare ancora di più, per raggiungere per esempio i propri obiettivi di pensionamento. Perciò, l’obiettivo originale della Fed (e anche della BCE, ndr) di spingere gli individui a spendere e consumare di più, visti i limitati interessi che ricevono sui risparmi bancari, sta cominciando ad avere l’effetto contrario” sottolinea Enzo Puntillo, Responsabile delle strategie obbligazionarie di GAM.
Un esempio può agevolare la comprensione di questo impatto. Ipotizziamo che un lavoratore dipendente che oggi abbia 28 anni e che guadagni 1.500 euro al mese (18 mila euro all’anno). Immaginiamo che aderisca ad un fondo pensione versando il 2% del proprio reddito, e il TFR che matura anno per anno: un altro 2% viene versato dal datore di lavoro nel fondo pensione. Se la crescita della propria retribuzione è pari al tasso di inflazione (fissato per esempio all’1,50% all’anno) e il rendimento del fondo pensione fosse del 3% all’anno, maturerebbe una rendita finale dopo 40 anni di 9.194 euro che equivarrebbero al 28,6% dell’ultima retribuzione (cresciuta nel frattempo fino a 32.170 euro all’anno). Se il tasso di interesse del fondo pensione fosse limitato al 2% all’anno (per effetto dei prossimi anni con i tassi di mercato a zero e negativi) dopo 40 anni la rendita maturata sarebbe limitata a 7.543 euro (ovvero il 23,4% dell’ultima retribuzione). Per arrivare alla stessa copertura garantita dal tasso di interesse del 3% del fondo in 40 anni (cioè il 28,6% dell’ultima retribuzione), un rendimento del 2% richiederebbe 48 anni di versamenti, ovvero altri otto anni in più di attività per il lavoratore.
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