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Cina, gli investitori globali intendono aumentarne il peso in portafoglio
4 Luglio 2016 14:52
o un sondaggio fatto da Asian Bond Investor nel maggio 2016, almeno la metà degli investitori internazionali che non detengono asset della Cina nei loro portafogli, stanno valutando l'opportunità di investirvi. Inoltre circa il 45% degli intervistati ha intenzione di incrementare la propria allocazione sul mercato cinese nei prossimi 12 mesi. Questi dati confermano che, al di là delle critiche mosse dalla stampa internazionale sulla Cina (quasi senza eccezioni), le intenzioni degli investitori globali sembrerebbero essere meno negative rispetto a quello che si potrebbe pensare.
In ogni caso, quanto è giustificato aver paura della Cina, in particolare relativamente al suo livello di debito?
In Cina il debito totale su PIL è circa 225% (199% privato e il restante 26% pubblico) ma è anche vero che il mercato dei capitali in Cina è ancora in fase di sviluppo e, soprattutto, il governo di Pechino è proprietario sia delle banche che dei principali debitori, quindi non ci sono problemi politici per un eventuale bailout (salvataggio da parte del governo di Pechino in caso di bancarotta) degli insolventi anche perché il debito pubblico (26% sul totale) è molto contenuto. Peraltro, il debito cinese è principalmente detenuto entro i confini nazionali dal momento che soltanto il 13,1% del PIL è all’estero.
Non solo. La Cina ha il più alto tasso di risparmio al mondo (52% del PIL), una solida bilancia dei pagamenti, ingenti riserve in valuta ed è creditore netto verso i paesi esteri (22% del PIL). Più di recente, la stampa si è concentrata sull'aumento dei default sul mercato obbligazionario cinese domestico. Ma si è trattato di eventi creditizi che hanno interessato principalmente aziende operanti in settori con eccesso di capacità, come l'acciaio, il carbone e le miniere: un fenomeno spiegabile anche in funzione dell’obiettivo primario del governo di Pechino di ridurre in maniera consistente il peso di questi settori: una tendenza che ha avuto implicazioni sul mercato obbligazionario domestico: da una minore liquidità all’allargamento dei differenziali di rendimento fino alla posticipazione di alcune emissioni obbligazionarie già annunciate. Se il numero dei default dovesse continuare a crescere, potrebbero portare a instabilità finanziaria e pressioni sui mercati.
“Non ci aspettiamo tuttavia un rischio sistemico. Al contrario, siamo convinti già da alcuni mesi che il governo cinese lascerà fallire le società e non le supporterà ad ogni costo. Per uno sviluppo di lungo periodo del mercato obbligazionario domestico, c'è bisogno di una maggiore diversificazione dei livelli di rendimento fra i vari emittenti (anche se questo potrebbe causare delle tensioni nel breve periodo)” sottolinea Shin Lee, Senior Client Portfolio Manager di Pictet Asset Management che poi rivela che all'interno del proprio portafoglio, ha rafforzato l'idea che non tutte le società detenute dallo stato siano uguali. Dal marzo 2015, il manager ha investito in società strategiche per il governo, per le quali è sicuro ci sia supporto a livello centrale: il manager, inoltre, non investe in società governative che non abbiano caratteristiche fondamentali solide.
In ogni caso, quanto è giustificato aver paura della Cina, in particolare relativamente al suo livello di debito?
In Cina il debito totale su PIL è circa 225% (199% privato e il restante 26% pubblico) ma è anche vero che il mercato dei capitali in Cina è ancora in fase di sviluppo e, soprattutto, il governo di Pechino è proprietario sia delle banche che dei principali debitori, quindi non ci sono problemi politici per un eventuale bailout (salvataggio da parte del governo di Pechino in caso di bancarotta) degli insolventi anche perché il debito pubblico (26% sul totale) è molto contenuto. Peraltro, il debito cinese è principalmente detenuto entro i confini nazionali dal momento che soltanto il 13,1% del PIL è all’estero.
Non solo. La Cina ha il più alto tasso di risparmio al mondo (52% del PIL), una solida bilancia dei pagamenti, ingenti riserve in valuta ed è creditore netto verso i paesi esteri (22% del PIL). Più di recente, la stampa si è concentrata sull'aumento dei default sul mercato obbligazionario cinese domestico. Ma si è trattato di eventi creditizi che hanno interessato principalmente aziende operanti in settori con eccesso di capacità, come l'acciaio, il carbone e le miniere: un fenomeno spiegabile anche in funzione dell’obiettivo primario del governo di Pechino di ridurre in maniera consistente il peso di questi settori: una tendenza che ha avuto implicazioni sul mercato obbligazionario domestico: da una minore liquidità all’allargamento dei differenziali di rendimento fino alla posticipazione di alcune emissioni obbligazionarie già annunciate. Se il numero dei default dovesse continuare a crescere, potrebbero portare a instabilità finanziaria e pressioni sui mercati.
“Non ci aspettiamo tuttavia un rischio sistemico. Al contrario, siamo convinti già da alcuni mesi che il governo cinese lascerà fallire le società e non le supporterà ad ogni costo. Per uno sviluppo di lungo periodo del mercato obbligazionario domestico, c'è bisogno di una maggiore diversificazione dei livelli di rendimento fra i vari emittenti (anche se questo potrebbe causare delle tensioni nel breve periodo)” sottolinea Shin Lee, Senior Client Portfolio Manager di Pictet Asset Management che poi rivela che all'interno del proprio portafoglio, ha rafforzato l'idea che non tutte le società detenute dallo stato siano uguali. Dal marzo 2015, il manager ha investito in società strategiche per il governo, per le quali è sicuro ci sia supporto a livello centrale: il manager, inoltre, non investe in società governative che non abbiano caratteristiche fondamentali solide.
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