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Mercati emergenti, perché gli investitori dovrebbero preferirli

I mercati azionari dei paesi emergenti hanno registrato una performance a 12 mesi migliore rispetto a quella degli azionari dei paesi sviluppati ma possono ripetersi.

26 Agosto 2016 09:32

financialounge -  mercati azionari mercati emergenti Prashant Khemka
Negli ultimi tre anni, dal 16 agosto 2013 al 17 agosto scorso, i mercati azionari emergenti hanno registrato una performance nettamente inferiore a quella dei mercati sviluppati: l’indice MSCI World (rappresentativo delle principali borse mondiali) ha messo a segno un +28,6% in valuta locale mentre l’MSCI Emerging markets (“MSCI EM” – indice che riflette invece l’andamento dei mercati in via di sviluppo) ha mostrato un rialzo del +16,3% in valuta locale.

Tuttavia, se si effettua il confronto tra i due indici a 12 mesi e da inizio anno, la tendenza è invertita. Infatti negli ultimi 12 mesi (dal 17 agosto 2015 al 17 agosto 2016), l’MSCI EM in valuta locale evidenzia un apprezzamento del +7,7% contro un andamento sostanzialmente piatto dell’MSCI World in valuta locale (+0,05%), mentre da inizio anno l’MSCI EM vanta un +11,3% contro il +3,9% dell’MSCI World.

Una tendenza che non è stata scalfita nemmeno dalle turbolenze post Brexit: dal 23 giugno (giorno dell’esito del referendum britannico) al 17 agosto scorso l’MSCI EM in valuta locale ha registrato un +7,6% mentre l’MSCI World non è andato oltre un +3,3%.

Ma agli investitori interessa se (e perché) dovrebbero preferire ancora i mercati azionari emergenti anche per i prossimi mesi.

“Nei mesi recenti abbiamo partecipato a molti dibattiti riguardo ai meriti relativi ai Mercati Emergenti, siano essi il favorevole contesto esterno, il potenziale per l’inizio di una risalita degli utili dei Mercati Emergenti o una valutazione del punto d’ingresso più interessante rispetto agli altri principali mercati azionari” premette Prashant Khemka, CIO Emerging Markets Equity di Goldman Sachs Asset Management (GSAM), che poi precisa: “Non prendiamo posizione su questi aspetti top-down (macroeconomici) o di momento d’ingresso nel mercato e continuiamo a consigliare gli investitori di non dedicare troppo tempo a un simile approccio top-down. Gli investitori, soprattutto in asset class non efficienti (cioè asset class che non sempre riflettono correttamente nei prezzi di mercato le informazioni relative ai titoli / emittenti e quindi il loro valore) come i Mercati Emergenti, dovrebbero piuttosto dedicare il loro tempo a trovare il miglior gestore attivo, visto il grande potenziale di generazione di alpha”.

Secondo Prashant Khemka è molto chiaro, a livello empirico, che i gestori dei Mercati Emergenti hanno prodotto in media un alpha (extra-rendimento rispetto alla media di mercato, ndr) significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi dei mercati sviluppati. Addirittura nel corso degli ultimi cinque anni, quando in molti hanno sostenuto che la generazione di alpha si fosse sostanzialmente ridotta, un gestore dei Mercati Emergenti nel primo quartile ha comunque prodotto un alpha vicino al 4%, al netto delle commissioni.Tutto ciò a fronte di un gestore azionario statunitense del primo quartile che ha stentato a produrre addirittura un 1% di alpha.

Il motivo sembra chiaro: i Mercati Emergenti rimangono un’asset class più inefficiente e la maggior parte dei benchmark ponderati per la capitalizzazione di mercato è strutturalmente distorta da grandi società di proprietà statale.

“Tutti sappiamo che l’alpha ha un valore, ma a volte troviamo che gli investitori sottostimino la rilevanza del suo impatto, specialmente quando si valutano gli effetti della capitalizzazione dell’alpha su un intero ciclo. Per esempio, i Mercati Emergenti hanno sotto-performato i Mercati Sviluppati per circa il 20% nel corso degli ultimi 10 anni. Se questo investimento fosse stato effettuato tramite un gestore del primo quartile, allora l’alpha sarebbe stato più che sufficiente a compensare addirittura i rendimenti dell’asset class notevolmente più debole” spiega Prashant Khemka secondo il quale, in un mondo in cui ci si deve confrontare con i rendimenti negativi delle obbligazioni, le prospettive di bassa crescita e di bassa inflazione, tutti elementi che determinano bassi rendimenti, l’alpha è un fattore più importante che mai.

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