cina
Come ha fatto la Cina a gestire la grande trasformazione dell’economia
Le riduzioni della capacità produttiva in Cina sembrano essere di corto respiro e non ancora sufficienti per raggiungere un equilibrio dell’economia di lungo periodo.
24 Novembre 2016 09:58
All'inizio di quest'anno, la Cina sembrava essere pervasa da problemi associati alla capacità di produzione in eccesso mostrando un rallentamento della crescita, prezzi alla produzione in territorio ampiamente negativo, caduta del reddito d'impresa e della crescita dei profitti e un tendenziale incremento dei crediti deteriorati (NPL, non performing loan).
In pochi mesi, però, la crescita sembra essersi stabilizzata, il rimbalzo dei prezzi delle materie prime ha contribuito a riportare il PPI (Producer Price Index, l'indice dei prezzi alla produzione, un indicatore che misura la variazione dei prezzi di un paniere di beni destinati ai produttori) in territorio positivo, sia il fatturato industriale che i profitti aziendali hanno registrato un rimbalzo, in particolare nei settori del carbone e dell'acciaio che risultavano in forte difficoltà, mentre la formazione dei NPL ha subito un rallentamento.
Erano sbagliate o eccessivamente preoccupate le previsioni circa la capacità in eccesso della Cina? Cerchiamo di capirlo.
È vero che la spinta agli investimenti nelle infrastrutture ha contribuito a stabilizzare le quotazioni delle materie prime e la domanda di materiali, tuttavia la modesta crescita della domanda non può spiegare un grande turn-around come quello visto nei prezzi e nei profitti. Importanti, se non decisivi, sono stati i tagli alla produzione: le riduzioni della capacità produttiva sono state più veloci del previsto ma risultano, per gli addetti ai lavori, ancora di corto respiro e non sufficienti per raggiungere un equilibrio di lungo periodo.
Nel frattempo, come fa notare Roberto Bottoli, responsabile strategie merger arbitrage di GAM, la Cina continua a perseguire un obiettivo strategico, quello cioè di acquisire know-how per diminuire il gap con le economie più avanzate.
“La Cina, per riuscire ad aumentare in modo efficiente e competitivo la propria produzione, non può fare a meno di processi e tecnologie che richiederebbero tempi lunghi per essere sviluppate internamente: Pechino è, di fatto, quasi costretta a provare ad acquistarle all’estero” dice Roberto Bottoli.
Un obiettivo strategico, quello di acquisire know-how all’estero, che oltre al rischio che un accordo aziendale non ottenga le necessarie approvazioni dalle autorità all’estero, comporta anche un rischio interno, il via libera delle autorità di Pechino, i cui processi mancano spesso di trasparenza, sono lenti e burocratici. Ostacoli che potrebbe portare a tempi più lunghi nella conclusione degli accordi stessi. Ma quello che interessa di più gli investitori è che l’insieme di questi rischi sta determinando un aumento degli spread di arbitraggio sull’M&A, cioè la differenza tra il prezzo di mercato di un’azione di una società obiettivo e il prezzo di offerta.
“Questo significa che possono essere ancora più appaganti per un investitore che riesce a valutare correttamente i rischi connessi” puntualizza Roberto Bottoli alla luce del fatto che il gap che Pechino dovrà colmare in termini di tecnologia e proprietà intellettuale è semplicemente troppo ampio per attendere che i trend protezionistici facciano marcia indietro.
In pochi mesi, però, la crescita sembra essersi stabilizzata, il rimbalzo dei prezzi delle materie prime ha contribuito a riportare il PPI (Producer Price Index, l'indice dei prezzi alla produzione, un indicatore che misura la variazione dei prezzi di un paniere di beni destinati ai produttori) in territorio positivo, sia il fatturato industriale che i profitti aziendali hanno registrato un rimbalzo, in particolare nei settori del carbone e dell'acciaio che risultavano in forte difficoltà, mentre la formazione dei NPL ha subito un rallentamento.
Erano sbagliate o eccessivamente preoccupate le previsioni circa la capacità in eccesso della Cina? Cerchiamo di capirlo.
È vero che la spinta agli investimenti nelle infrastrutture ha contribuito a stabilizzare le quotazioni delle materie prime e la domanda di materiali, tuttavia la modesta crescita della domanda non può spiegare un grande turn-around come quello visto nei prezzi e nei profitti. Importanti, se non decisivi, sono stati i tagli alla produzione: le riduzioni della capacità produttiva sono state più veloci del previsto ma risultano, per gli addetti ai lavori, ancora di corto respiro e non sufficienti per raggiungere un equilibrio di lungo periodo.
Nel frattempo, come fa notare Roberto Bottoli, responsabile strategie merger arbitrage di GAM, la Cina continua a perseguire un obiettivo strategico, quello cioè di acquisire know-how per diminuire il gap con le economie più avanzate.
“La Cina, per riuscire ad aumentare in modo efficiente e competitivo la propria produzione, non può fare a meno di processi e tecnologie che richiederebbero tempi lunghi per essere sviluppate internamente: Pechino è, di fatto, quasi costretta a provare ad acquistarle all’estero” dice Roberto Bottoli.
Un obiettivo strategico, quello di acquisire know-how all’estero, che oltre al rischio che un accordo aziendale non ottenga le necessarie approvazioni dalle autorità all’estero, comporta anche un rischio interno, il via libera delle autorità di Pechino, i cui processi mancano spesso di trasparenza, sono lenti e burocratici. Ostacoli che potrebbe portare a tempi più lunghi nella conclusione degli accordi stessi. Ma quello che interessa di più gli investitori è che l’insieme di questi rischi sta determinando un aumento degli spread di arbitraggio sull’M&A, cioè la differenza tra il prezzo di mercato di un’azione di una società obiettivo e il prezzo di offerta.
“Questo significa che possono essere ancora più appaganti per un investitore che riesce a valutare correttamente i rischi connessi” puntualizza Roberto Bottoli alla luce del fatto che il gap che Pechino dovrà colmare in termini di tecnologia e proprietà intellettuale è semplicemente troppo ampio per attendere che i trend protezionistici facciano marcia indietro.
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