Emergenti: vinti o vincitori?
Per trent'anni sono stati i protagonisti dell'economia mondiale e dei mercati, grazie alla globalizzazione. E sono stati anche in molti casi i beniamini degli investitori, che andavano a cercare sui mercati emergenti quelle prospettive di ritorno sempre più scarse sui mercati maturi. Ovviamente con qualche rischio e qualche conseguente scottatura.
Oggi, dopo il ribaltone americano a opera di Donald Trump, si parla sempre più spesso di de-globalizzazione, vale a dire di smontare il meccanismo che ha fatto la fortuna delle economie emergenti facendole diventare sempre più grandi, in grado di rivaleggiare in alcuni casi con i grandi paesi avanzati. È arrivata l'ora di mettere una bella croce sopra le speranze di guadagni facendo puntate su azioni e debito in giro per il mondo? Calma.
È vero che l'esito del voto americano è stato abbastanza devastante per gli emerging, non tanto per le paure di de-globalizzazione, quanto per l'effetto combinato del rialzo del dollaro e dei tassi di interesse americani, due fattori che hanno fatto diventare in pochi giorni il debito in valuta forte (uguale dollaro) di quelle economie più difficile da sostenere e quindi più rischioso. Non è la prima volta che dollaro e tassi USA fanno ballare gli emergenti, l'ultima volta è successo meno di un anno fa, a gennaio scorso.
Ma dopo lo scossone è arrivata la ripresa. Sarà così anche questa volta? Gli esperti sono divisi e invitano alla cautela. Di Trump sappiamo ancora poco, arriverà alla Casa Bianca solo il 20 gennaio e bisognerà vedere quante delle minacce, soprattutto nei confronti di Cina e Messico, vorrà mantenere. Meglio stare a guardare e magari approfittare di qualche buona occasione. Che potrebbe nascondersi, parlando sempre di debito, più che in Asia e in Messico, nel Sud America, dal Brasile, all'Argentina alla Colombia. E qui magari si potrebbe anche rischiare qualche cauta puntata non solo sul debito in valuta forte, ma su quello in valuta locale, come il peso argentino e il real brasiliano, che potrebbero avere spazi di recupero.
Il debito in valuta locale ha rendimenti nominali più alti, e se a questi si sommasse l'apprezzamento della moneta le soddisfazioni sarebbero non indifferenti. Ma bisogna distinguere bene paese da paese. Il Sud Africa ad esempio somiglia al Brasile, ma la situazione di instabilità politica consiglia di stare lontano. Come è meglio non avvicinarsi troppo al debito di quella che era una volta una delle tigri emergenti, la Turchia. Gli investitori non gradiscono l'autoritarismo di Erdogan, e la lira turca continua a sprofondare nonostante i tassi elevati della banca centrale, che giovedì scorso sono stati portati all'8,5%.
Non c'è solo il debito, ma anche le azioni. In questo caso bisogna guardare a oriente, e a Shenzhen in particolare dove in questi giorni si sta cominciando a testare il link con il mercato borsistico di Hong Kong, un meccanismo che consentirà anche al singolo investitore di puntare su migliaia di titoli della Cina interna con alto potenziale di crescita. Ovviamente sono tutte prospettive interessanti sulla carta. Per passare all'azione bisogna attrezzarsi. Soprattutto scegliendo un bravo consulente finanziario che aiuti a orientarsi nella miriade di prodotti che ormai esistono per puntare sugli emergenti, dai tradizionali fondi gestiti fino ai fondi passivi come gli ETF.