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Perchè il ciclo di rialzi obbligazionari non è ancora giunto al termine

L’aumento dei rendimenti obbligazionari sembra slegato dai fattori fondamentali e dettato da fattori tecnici: per il futuro è da osservare l’evoluzione dell’inflazione.

19 Dicembre 2016 10:17

financialounge -  Ethenea Guido Barthels mercati obbligazionari orizzonte temporale Yves Longchamp
“A chi si chiede se il ciclo di rialzi obbligazionari, che dura ormai da diversi decenni, sia finalmente giunto al termine, rispondiamo con un deciso: No, è ben lungi dall’essersi concluso” puntualizzano Yves Longchamp, Head of Research di ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG, e Guido Barthels, Portfolio Manager ETHENEA Independent Investors S.A.

I due manager non escludono affatto che i rendimenti dei Bund decennali possano tornare all’1,50% (dall’attuale 0,40%) o che i Treasury statunitensi possano attestarsi di nuovo al 3% (dal 2,5% di oggi), ma sostengono che si tratterebbe di normali alti e bassi dei mercati dei capitali. Quello che invece è meno in sintonia con le normali oscillazioni dei mercati obbligazionari è il ritmo rapido delle ultime variazioni che non si vedevano ormai da diversi anni. Basti ricordare che il titolo di Stato USA decennale da agosto ha lasciato sul terreno più dell’8%, di cui circa il 6% nelle ultime due settimane.

“Questo spiega anche perché riteniamo che gran parte di questi movimenti non sia ascrivibile ai fondamentali, bensì a fattori tecnici del mercato” affermano Yves Longchamp e Guido Barthels che, pur non ignorando quanto sia accaduto sui mercati obbligazionari di recente, suggeriscono di guardare oltre. E, più in particolare, indicano il tema dell’inflazione come fattore fondamentale capace di determinare rialzi duraturi dei tassi di interesse. “Il tema dell’inflazione sembrava completamente scomparso dal campo visivo di molti investitori che, anzi, sembravano preoccupati dallo spettro della deflazione” ricordano i due manager secondo i quali, tuttavia, occorre distinguere tra breve periodo (prossimi 12 mesi) e medio lungo termine.

Nel 2017 è probabile che l’aumento del prezzo del petrolio (che nel gennaio 2016 aveva toccato un minimo di 26 dollari) possa far sentire i suoi effetti negativi sull’indice generale dei prezzi al consumo e gli investitori non ne usciranno certo immuni. Ma nel medio lungo termine, nonostante la riduzione della produzione decisa dall’OPEC, Yves Longchamp e Guido Barthels non prevedono un aumento costante delle quotazioni del greggio.

“Durante la campagna elettorale, il neo presidente Trump ha annunciato senza mezzi termini l’intenzione di tornare a promuovere anche la produzione di gas e petrolio da scisti per creare posti di lavoro: questa intenzione dovrebbe calmierare i prezzi del greggio a livello mondiale”. Inoltre, i tassi d’inflazione di fondo, ossia quelli che escludono i prezzi di energia e generi alimentari, risultano estremamente stabili nelle diverse aree geografiche.

“E’ importante rilevare che, con la rapida automazione dei processi di lavorazione (Industria 4.0), il trend di lungo periodo del mondo globalizzato continua a essere quello della disinflazione. Siamo quindi curiosi di vedere quando si arresterà questo aumento dei rendimenti, a nostro avviso eccessivo” concludono Yves Longchamp e Guido Barthels.

** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge. Una parte di contenuti e dati gentilmente concessi da Ethenea


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