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Banche, perché il piano di salvataggio italiano potrebbe non bastare

3 Gennaio 2017 09:30

financialounge -  fondo Atlante italia non performing loan settore bancario
ass="p1">Il fondo da 20 miliardi di euro varato dal Governo italiano per salvare le banche in difficoltà non potrà risolvere i problemi strutturali del settore finanziario.

Il 23 dicembre scorso, il governo italiano ha pubblicato il decreto cosiddetto ‘Salva Risparmio’ che crea un fondo fino a 20 miliardi di euro destinato a sostenere il settore bancario. Il fondo, in particolare, è stato progettato per aiutare le banche italiane che hanno bisogno di ulteriore capitale e non risultano in grado di raccogliere capitali per conto proprio e, inoltre, garantirà la protezione dei risparmi degli investitori retail.


La costituzione del fondo, se da un lato costituisce un supporto per alcune banche deboli, dall’altro sottolinea la loro situazione fragile e la mancanza di accesso al mercato dei capitali. In ogni caso, sono almeno tre i potenziali benefici derivanti dal lancio del fondo.


In primo luogo, il fondo assicurerà una struttura di back-up per le istituzioni finanziarie che, anche se ancora considerate solvibili dalle autorità, potrebbero trovare difficoltà nel completare il necessario rafforzamento del capitale attraverso fonti di mercato.


In secondo luogo, il fondo potrebbe limitare una ricaduta finanziaria aggiuntiva per le banche più forti. Si stima che soltanto negli ultimi 12 mesi, le banche italiane, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, abbiano contribuito (attraverso la garanzia dei depositi obbligatori e volontari e la partecipazione al Fondo Atlante), per circa 8 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche più deboli.


In terzo luogo, il fondo dovrebbe rassicurare i depositanti e gli obbligazionisti retail in generale contribuendo in tal modo alla stabilità finanziaria dell’intero settore creditizio italiano.


Tuttavia, per alcuni analisti (come per esempio quelli di Standard & Poor’s) è improbabile che il fondo ‘Salva Risparmio’ da solo possa risolvere le sfide chiave del settore bancario italiano. Questo perché, sebbene il fondo dovrebbe riuscire a contribuire a risolvere le difficoltà di alcune banche, restano sul tavolo gli altri problemi strutturali del settore bancario italiano: dall’ingente stock di sofferenze ai tassi di interesse ancora bassi che offrono pochi margini operativi all’attività tradizionale delle banche ancora distante dai livelli pre crisi, dalla modesta attività economica ai coefficienti di redditività (ROE, return on capital, ma non solo) ancora molto al di sotto sia delle medie storiche e sia rispetto ai concorrenti europei.


L'attività economica si sta riprendendo gradualmente in Italia (la crescita del PIL del 2016 dovrebbe attestarsi al +0,8% e quella del 2017 a +0,9%), garantendo solo un lento miglioramento del merito di credito del settore privato e, di conseguenza, la qualità dell'attivo delle banche. Non a caso, si è registrata una lieve contrazione dell’ingente stock di NPL (non performing loan, le sofferenze) nel 2016, e si prevede una riduzione lenta anche nei prossimi trimestri. Il rapporto tra NPL e crediti verso la clientela è diminuito dal 20,0% di inizio anno a circa il 19,3% al 30 giugno 2016.


Secondo gli analisti, soltanto un'accelerazione più significativa dell’economia domestica e lo sviluppo di una più dinamica contrazione dei crediti in sofferenza (magari anche grazie ad un mercato secondario più ricettivo) potrà aiutare le banche italiane ad affrontare in modo efficace i problemi strutturali.


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