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Petrolio, attenzione alla possibile reintroduzione delle sanzioni all’Iran

Il ribilanciamento tra domanda e offerta dovrebbe stabilizzare i prezzi del petrolio ma un’eventuale reintroduzione delle sanzioni all’Iran può sparigliare il mercato.

12 Gennaio 2017 09:30

financialounge -  GAM iran OPEC petrolio Roberto Cominotto Russia
Il prezzo del petrolio ha chiuso il 2016 sulle quotazioni che aveva nel luglio 2015, e cioè tra i 54 e i 56 dollari al barile. Si tratta di un livello che è ancora al di sotto della metà dei picchi del 2014 (quando superò quota 114 dollari al barile) ma che rappresenta comunque un bel rialzo rispetto a 12 mesi prima (+45%) e un vero e proprio balzo dai minimi di gennaio 2016 (+107%).

Per quest’anno, le previsioni degli analisti di mercato parlano di un prezzo medio del greggio intorno ai 55 dollari al barile mentre per i prossimi due anni (2018 e 2019) le stime indicano un posizionamento intorno ai 62 dollari.

Si tratta di previsioni che si basano sul ribilanciamento tra la domanda (che dovrebbe registrare una crescita intorno all’1,5%- 2% all’anno) e la produzione (che dovrebbe risultare stabile per effetto della maggiore produzione di Iran e Iraq e del taglio deciso dai produttori Opec e dalla Russia).

Proprio questo riequilibrio tra domanda e offerta rappresenta la scommessa più importante per definire la direzione che potrà assumere il prezzo del greggio. Finora, dopo una fiammata iniziale a fine novembre in occasione dell’annuncio del taglio della produzione da parte dei produttori Opec e della Russia, ha prevalso la cautela tra gli operatori di mercato scettici sull’entità effettiva dei tagli annunciati: basterebbe che i primi dati ufficiali che saranno diramati nei prossimi mesi segnalassero una divergenza ancora netta tra domanda e offerta per guidare al ribasso le quotazioni del petrolio.

Ma secondo alcuni esperti, come per esempio, Roberto Cominotto, responsabile per l’azionario settore Energia di GAM, è opportuno seguire con estrema attenzione anche il dossier Trump- Iran. Quest’ultimo paese ha aumentato in misura importante la propria produzione di greggio subito dopo la rimozione delle sanzioni internazionali lo scorso gennaio.

“Tuttavia, il deal nucleare promosso dagli USA è stato siglato dall’amministrazione Obama senza aver ottenuto l’approvazione dal Congresso Repubblicano, ed è stato peraltro duramente criticato dal neopresidente Donald Trump” puntualizza Roberto Cominotto, ricordando come una maggioranza repubblicana sia incline alla reintroduzione delle sanzioni sull’Iran o, quantomeno, che l’accordo sul nucleare venga ridiscusso: un tale sviluppo potrebbe determinare impatti di rilievo sulla produzione dell’Iran (che, insieme all’Arabia Saudita, è il maggiore produttore al mondo di greggio) in un mercato già in contrazione, con la conseguenza di far lievitare le quotazioni.

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