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Il vertiginoso rialzo del dollaro potrebbe volgere al termine

Il dollaro americano è cresciuto di circa il 30% negli ultimi tre anni con un’accelerazione dopo l’elezione di Trump ma ora sembra aver innestato una marcia inferiore.

21 Febbraio 2017 09:22

financialounge -  dollaro mercati obbligazionari oro Pictet Regno Unito
Negli ultimi tre anni, il dollaro americano ha registrato una rivalutazione di poco meno del 30% rispetto all’euro. Se si analizza però il percorso di rivalutazione si nota che tale rialzo è stato incorporato nel corso del primo anno (dal 14 febbraio 2014 a 14 marzo 2015) mentre nei successivi due anni, il biglietto verde ha assunto un andamento oscillatorio rispetto alla moneta unica europea. Solo la vittoria di Donald Trump lo scorso 9 novembre ha riportato in auge la divisa americana che ha chiuso il 2016 a +30,2% (rispetto al fixing del 14 febbraio 2014).

Dall’inizio di quest’anno, invece, sembra che il biglietto verde abbia innestato una marcia inferiore perdendo terreno sulle principali valute internazionali.

Avendo scontato tutti i possibili effetti positivi della presidenza Trump, gli investitori cominciano a chiedersi che cosa accadrebbe se i piani del neopresidente americano non dessero i frutti sperati o, addirittura, fossero bloccati.

“A nostro parere il dollaro potrebbe indebolirsi ancora e abbiamo quindi rafforzato la ponderazione delle monete europee, sovrappesando euro, sterlina e franco svizzero, prima a un livello neutrale rispetto al biglietto verde” fa sapere la Pictet Asset Management Strategy Unit (PSU), il gruppo di investimento responsabile delle linee guida di asset allocation in ambito azionario e obbligazionario, nonché in materia di valute e di commodity.

Allo stesso tempo, la PSU ha ridotto dal sovrappeso alla neutralità la posizione nell’oro, la cui attrattiva dovrebbe ridimensionarsi di fronte alla prospettiva di un rialzo dei tassi USA. D’altro canto, il crollo subito dalle quotazioni delle obbligazioni dallo scorso autunno ad oggi, sembrerebbe offrire un punto d’ingresso tattico in alcune aree del mercato anche se nel complesso l’asset class obbligazionaria è ancora onerosa.

“Se è vero che le aspettative per l’ inflazione e la crescita sono aumentate, è altrettanto vero che la reazione dei titoli di Stato americani a lunga scadenza potrebbero aver reagito in modo eccessivo a tali sviluppi: da inizio ottobre il rendimento del Treasury a 30 anni è salito di 77 punti base. Confermiamo pertanto il sovrappeso del debito USA a lunga scadenza” puntualizza la PSU, che, inoltre, rivela di aver ampliato l’esposizione ai bond del Regno Unito. Una scelta legata alla buona prova di resilienza offerta dall’economia britannica dopo il referendum sulla Brexit.

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