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Gestione passiva, gli investitori devono evitare di essere troppo sicuri

La gestione passiva si fa apprezzare per molteplici vantaggi, tra i quali i costi ridotti e la replica efficace dei mercati, ma è necessario conoscere bene gli ETF.

5 Aprile 2017 09:41

financialounge -  ETF ETP gestione attiva gestione dei risparmi gestione passiva Natixis Investment Managers
Il boom degli ETF non conosce confini. A livello mondiale a fine febbraio erano oltre seimila gli ETP (l’insieme di ETF, ETC e ETN) in tutto il mondo per un controvalore di 3.778 miliardi di dollari, il 33,3% in più rispetto a 12 mesi fa, e il 7,9% al di sopra di fine dicembre 2016.

In Italia, invece, gli ETP quotati sul circuito Etplus di Piazza Affari sono 1.176, a cui fanno capo asset per complessivi 57,6 miliardi di euro. Il loro successo è dovuto a diversi fattori sebbene siano due le caratteristiche più apprezzate dagli investitori. In primis i costi annui: un ETF azionario area euro, per esempio, evidenzia costi annui di gestione tra lo 0,15% e lo 0,4% contro l’1,50% - 2,20% di un fondo della medesima categoria.

In secondo luogo, gli ETF hanno dimostrato di saper riflettere piuttosto efficacemente nel tempo un preciso indice di mercato: una peculiarità che permette agli investitori di posizionarsi su un mercato in modo efficiente. Diversi fondi a gestione attiva, invece, nel tentativo di registrare performance superiori ad un benchmark (indice di mercato) spesso risultano sconfitti non giustificando quindi i costi aggiuntivi rispetto agli ETF di categoria.

Ma qualcosa sta cambiando. Almeno per quanto riguarda gli investitori istituzionali. Secondo la Global Survey of Institutional Investors condotta da Natixis Global Asset Management, una larga percentuale (75%) degli investitori istituzionali (500 diversi soggetti tra fondi pensione, fondazioni, fondi assicurativi e fondi sovrani a livello globale) si è dichiarata convinta che oggi i mercati siano più favorevoli a una gestione attiva: è questa una doppia indicazione favorevole alla gestione attiva.

Infatti innanzitutto si tratta di un incremento del 6% rispetto al 69% emerso nell’indagine del 2015, e in secondo luogo sono diminuite pure le indicazioni favorevoli alla gestione passiva. Nel 2015 gli istituzionali stimavano un aumento del 9% per gli investimenti passivi in portafoglio nel giro di tre anni mentre nel 2016 la previsione è crollata ad un punto percentuale.

Le ragioni? La gestione attiva risulterebbe più congeniale alla generazione di alpha (extra rendimento), più incline a sviluppare performance corrette per il rischio e per gli investimenti ESG (di natura ambientale, sociale o di governance aziendale). Ma, tra le preoccupazioni emerse dall’indagine, ne emerge una particolarmente interessante per i risparmiatori italiani che utilizzano molto gli ETF.

È vero che le gestioni passive si sono dimostrate efficaci ed efficienti per centrare obiettivi specifici (la replica di uno specifico mercato finanziario) ma gli investitori retail rischiano di non essere del tutto consapevoli dei rischi della gestione passiva: una condizione che potrebbe dare la sensazione di avere un portafoglio sicuro in tutte le condizioni di mercato.

Per esempio, in uno scenario fortemente ribassista per le borse, un ETF azionario seguirebbe inevitabilmente il destino dell’indice di riferimento al ribasso senza limitazioni di perdite. Allo stesso modo, un ETF obbligazionario governativo euro sarebbe esposto al ribasso dei prezzi dei titoli di stato euro nel caso di prolungato rialzo dei tassi di mercato.

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