ETF
ETF, che passione!
Negli ultimi anni sono diventati uno degli strumenti più popolari per investire. Ma secondo alcuni sono dei derivati mascherati con dentro qualche rischio.
24 Aprile 2017 09:22
Ne parlano tutti quelli che tentano l’avventura della borsa, sono diventati popolari come i vecchi contratti a premio dei lontani anni 80 quando si cimentava nei borsini e non davanti allo schermo di un pc o di uno smartphone. Da quando sono nati nel lontano gennaio del 1993 si sono moltiplicati come i conigli portati in Australia dagli inglesi nel 1700.
Parliamo degli ETF, che significa Exchange-Traded Fund, strumenti finanziari a basso costo con cui si può puntare praticamente su qualsiasi cosa faccia un prezzo sul pianeta. Anzi, ormai sono diventati ETP, vale a dire Exchange-Traded Product per comprendere anche quelli che replicano le commodity, le valute, etc.
La struttura è simile a quella dei fondi di investimento, con due fondamentali differenze. La prima è che si possono vendere e comprare in continua sui mercati regolamentati, come le azioni o i futures, anche decine di volte al giorno, mentre i fondi tradizionali fanno prezzo solo a fine giornata e scambiarli di solito ha un costo. La seconda e più importante è che sono ‘passivi’, vale a dire che si limitano a replicare fedelmente un ‘sottostante’, azione, bond, qualunque altro strumento finanziario, e richiedono piccoli capitali (bastano poche decine di euro), il che consente di scommettere, ad esempio, sul petrolio senza comprare il futures, che invece richiede centinaia di migliaia di dollari di investimento. A differenza dei fondi non c’è dietro un gestore ‘attivo’ che decide di comprare quel titolo e non quell’altro.
Negli ultimi 10 anni la crescita degli ETP è stata esponenziale. Si calcola che ce ne siano in giro per il mondo circa 6.200, per un controvalore di mercato pari a oltre 3.800 miliardi di dollari. Ce n’è per tutti i gusti, dai replicanti degli indici delle principali borse, come gli Spyders che replicano l’S&P 500, fino a quelli che tracciano singoli titoli o commodities, dall’oro al petrolio.
Uno degli ultimi arrivati nella grande famiglia si chiama Horizons Medical Marijuana Life Sciences ed è il primo strumento finanziario che consente di investire in cannabis, quella legalizzata ovviamente. Infatti replica l’andamento di un paniere di società attive nel commercio della marijuana a scopo terapeutico ed è stato lanciato sulla borsa di Toronto lo scorso 5 aprile. Un esordio col botto sia in termini di volumi scambiati (un milione di pezzi in un giorno) che per capitalizzazione, quasi 75 milioni di dollari raccolti in pochi giorni. Il nuovo ETF punta a sfruttare l’onda lunga della legalizzazione della marijuana in Nord America: nel 2016, grazie alla deregolamentazione in 28 stati USA, le vendite di cannabis terapeutica sono aumentate del 30%.
Ormai gli ETF li usano tutti, dagli investitori istituzionali ai fondi tradizionali, dagli hedge fund ai trader online. In Italia sono particolarmente popolari tra i piccoli investitori: con pochi euro si può tentare di prendere un movimento importante di prezzi che hanno grande volatilità, come il petrolio. E ovviamente ci si può anche fare male. Infatti qui sorge la domanda. Gli ETF sono sicuri? E poi, cosa sono esattamente? La versione ufficiale dice che non si tratta di derivati, anche se in pancia possono averli, ma di normali fondi, solo che non sono gestiti ma si limitano a replicare. In America tuttavia il dibattito è acceso e non sono pochi a sostenere che si tratta di derivati a tutti gli effetti, in quanto vivono su un sottostante, e possono trasformare un tranquillo risparmiatore in cerca di sicurezza in un trader spericolato a sua insaputa.
Un esempio spesso citato di come gli ETF possano sfuggire al controllo è il flash crash di Wall Street del 25 agosto 2015, quando un disallineamento dovuto a mancanza di liquidità nel pre-mercato ha impedito agli ETF di avere un prezzo di riferimento da replicare. E’ durato una manciata di minuti, ma in quella breve frazione di tempo il Dow Jones è andato giù di 1.000 punti, per poi subito recuperare.
La conclusione è che degli ETF si sa ancora forse troppo poco, e che i regolatori e i supervisori non hanno forse ancora indagato a fondo i rischi impliciti nella loro diffusione ormai capillare. Per l'investitore il problema non è tanto il rischio di averli in portafoglio, che è comparabile a quello degli strumenti finanziari sottostanti, quanto piuttosto sapere che tipo di ETP siano (a replica semplice o a leva, a replica fisica piuttosto che a replica sintetica, etc.) in modo da evitare brutte sorprese.
Parliamo degli ETF, che significa Exchange-Traded Fund, strumenti finanziari a basso costo con cui si può puntare praticamente su qualsiasi cosa faccia un prezzo sul pianeta. Anzi, ormai sono diventati ETP, vale a dire Exchange-Traded Product per comprendere anche quelli che replicano le commodity, le valute, etc.
La struttura è simile a quella dei fondi di investimento, con due fondamentali differenze. La prima è che si possono vendere e comprare in continua sui mercati regolamentati, come le azioni o i futures, anche decine di volte al giorno, mentre i fondi tradizionali fanno prezzo solo a fine giornata e scambiarli di solito ha un costo. La seconda e più importante è che sono ‘passivi’, vale a dire che si limitano a replicare fedelmente un ‘sottostante’, azione, bond, qualunque altro strumento finanziario, e richiedono piccoli capitali (bastano poche decine di euro), il che consente di scommettere, ad esempio, sul petrolio senza comprare il futures, che invece richiede centinaia di migliaia di dollari di investimento. A differenza dei fondi non c’è dietro un gestore ‘attivo’ che decide di comprare quel titolo e non quell’altro.
Negli ultimi 10 anni la crescita degli ETP è stata esponenziale. Si calcola che ce ne siano in giro per il mondo circa 6.200, per un controvalore di mercato pari a oltre 3.800 miliardi di dollari. Ce n’è per tutti i gusti, dai replicanti degli indici delle principali borse, come gli Spyders che replicano l’S&P 500, fino a quelli che tracciano singoli titoli o commodities, dall’oro al petrolio.
Uno degli ultimi arrivati nella grande famiglia si chiama Horizons Medical Marijuana Life Sciences ed è il primo strumento finanziario che consente di investire in cannabis, quella legalizzata ovviamente. Infatti replica l’andamento di un paniere di società attive nel commercio della marijuana a scopo terapeutico ed è stato lanciato sulla borsa di Toronto lo scorso 5 aprile. Un esordio col botto sia in termini di volumi scambiati (un milione di pezzi in un giorno) che per capitalizzazione, quasi 75 milioni di dollari raccolti in pochi giorni. Il nuovo ETF punta a sfruttare l’onda lunga della legalizzazione della marijuana in Nord America: nel 2016, grazie alla deregolamentazione in 28 stati USA, le vendite di cannabis terapeutica sono aumentate del 30%.
Ormai gli ETF li usano tutti, dagli investitori istituzionali ai fondi tradizionali, dagli hedge fund ai trader online. In Italia sono particolarmente popolari tra i piccoli investitori: con pochi euro si può tentare di prendere un movimento importante di prezzi che hanno grande volatilità, come il petrolio. E ovviamente ci si può anche fare male. Infatti qui sorge la domanda. Gli ETF sono sicuri? E poi, cosa sono esattamente? La versione ufficiale dice che non si tratta di derivati, anche se in pancia possono averli, ma di normali fondi, solo che non sono gestiti ma si limitano a replicare. In America tuttavia il dibattito è acceso e non sono pochi a sostenere che si tratta di derivati a tutti gli effetti, in quanto vivono su un sottostante, e possono trasformare un tranquillo risparmiatore in cerca di sicurezza in un trader spericolato a sua insaputa.
Un esempio spesso citato di come gli ETF possano sfuggire al controllo è il flash crash di Wall Street del 25 agosto 2015, quando un disallineamento dovuto a mancanza di liquidità nel pre-mercato ha impedito agli ETF di avere un prezzo di riferimento da replicare. E’ durato una manciata di minuti, ma in quella breve frazione di tempo il Dow Jones è andato giù di 1.000 punti, per poi subito recuperare.
La conclusione è che degli ETF si sa ancora forse troppo poco, e che i regolatori e i supervisori non hanno forse ancora indagato a fondo i rischi impliciti nella loro diffusione ormai capillare. Per l'investitore il problema non è tanto il rischio di averli in portafoglio, che è comparabile a quello degli strumenti finanziari sottostanti, quanto piuttosto sapere che tipo di ETP siano (a replica semplice o a leva, a replica fisica piuttosto che a replica sintetica, etc.) in modo da evitare brutte sorprese.
Trending